Fin dall’inizio, dalla sua creazione, Sense8 – serial ideato da Lana e Lilly Wachowski e Michael Straczynski – sembrava destinato ad essere una bomba: nato nell’onda lunga di Lost, quando ancora i plausi e i batticuori per l’opera spartiacque di J.J.Abrams non si erano calmati, l’opera si preannunciava come l’ennesimo, attesissimo cinema in tv, pregno di metafisica, misteri e trame orizzontali e verticali mirabilmente intersecate. Poi, la visione: e la delusione. Una seconda stagione stentata, petizioni e hype, per poi finire con l’episodio conclusivo della durata di 150’, annunciato nell’estate 2017 e rilasciato soltanto ora, nell’estate 2018.
E per parlarne compiutamente, senza far torto a nessuno e tenendo conto di tutto il contesto, il senso ultimo di Sense8 può riassumersi, come i grandi film, nella fine di Amor Vincit Omnia, l’episodio 24 che chiude tutte le trame sospese e mette la parola fine alla storia. Un treno per Napoli, una canzone ascoltata da Riley nelle cuffie che -con l’ormai classico e se vogliamo abusato montaggio tensivo – pian piano accompagna i suoi amici; e una scritta, al termine dell’episodio, For Our Fans. Insomma, per dirla tutta, un’opera for fans only.
Soffermiamoci prima di tutto su Amor Vincit Omnia: che, nel suo genere, è perfetto, anzi perfettamente riuscito. Perché chiude le trame: e seppure rinunciando all’emotività che magari ci si aspetterebbe da una chiusura, è però perfettamente coerente in sé, non lascia narrativamente nulla al caso, e sacrificando monologhi e focus sui singoli personaggi ci mostra i protagonisti all’opera e ce li fa salutare proprio come noi volevamo. Se in quel noi sta solo il plurale dei fan. Perché il 2×12 è il finale perfetto, quello che tutti si aspettano, che riprende proprio dove avevamo lasciato i nostri personaggi: con Wolfgang catturato dalla BPO, i sette riuniti per salvarlo, e il piano per lo scambio di ostaggi e la definitiva sconfitta della BPO.
Ora parliamo seriamente: una scrittura precipitosa, uno screentime approssimativo, ritmi dilatati in poche sequenze e troppo accelerati in altre. E insomma: se dalle sorelle Wachowski unite a Straczynski (ovvero, le due autrici che hanno riscritto la fantascienza postmoderna con Matrix e lo scrittore che sa come strutturare una serialità seria senza rinunciare all’impegno e al fanservice) ci si poteva aspettare un’opera epocale, ci siamo dovuti accontentare di un piccolo gioiello screziato che ha regalato momenti di buon cinema, ma che è stato dall’inizio fin troppo ammiccante solo e soltanto per un pubblico ristretto, amatoriale quasi, aperto alle innovazioni solamente se riferite ad un determinato modello, che si è rivelato fin troppo autoreferenziale.
L’idea alla base di Sense8 era quella di raccontare di otto individui sparsi per il mondo ma collegati da un forte legame empatico/telepatico, condividendo quindi emozioni e ricordi, abilità e conoscenze. Un concept enorme, in linea con le dichiarazioni dello sceneggiatore che aveva definito il serial “uno show con cose mai viste prima”: e in un certo senso così è stato.
Peccato che in questa ricerca di originalità, assurta no solo a tema portante ma proprio a disegno creativo dietro la storia, si sia persa la strada creando personaggi al limite dell’inettitudine, stravaganti all’eccesso e disegnati con la grazia di un’accetta. Sense8 chiede uno sforzo mentale non solo per la classica e scontata sospensione di incredulità, ma anche nell’accettare situazioni e ritratti che partono da un’idea di base codificata per poi stravolgerla e rivolgerla in maniera illogica.
Siamo nell’era del Supereroe (Nietzsche ne sarebbe stato contento; e Avengers Infinity War lo ha confermato), ma se vuoi fare qualcosa di nuovo devi conoscere bene tempi e mode, per reinventarli o per decostruirli e successivamente riassemblarli con gusto: Sense8 invece perde tutto quanto di buono poteva esserci e smarrisce per strada l’insegnamento di mamma Marvel, la casa editrice creatrice di buona parte dell’epos mitologico moderno con Avengers, SpiderMan e compagni, e nonostante l’esperienza di Straczynski con il superomismo -sua la firma su alcune avventure di Superman, SpiderMan e altri- la storia è debole, lo svolgimento stralunato, la narrazione scombinata.
Gli autori hanno poco di hollywoodiano e anzi sanno utilizzare il meltin’ pot (abusando però di clichè derivanti da anime e manga): ma con Sense8 si ha l’impressione che abbiano voluto strafare, spingendosi oltre i propri limiti e creando, come si diceva in apertura, un prodotto che certo è stato amato a dismisura da un ristretto numero di persone, ma per i motivi sbagliati. E allora diventiamo saggi e prendiamo la prospettiva giusta: non bisogna piangere di aver perso qualcosa, ma ringraziare di averla avuta. Finchè è durata.
GianLorenzo Franzì