Tito e gli alieni ci regala una storia allegra e malinconica che sa di fantasy e fantascienza, commedia e dolore, avventura, nella gradevole varietà di generi, davanti ai quali lo spettatore smette di chiedersi in quale territorio si stia trovando, in quale luogo fisico e della mente si stiano muovendo i personaggi. Anzi, da subito, si lascia sedurre dall’originalità delle inquadrature, insieme alle musiche avvolgenti curate da Fausto Mesolella, che è scomparso durante le riprese, e a cui il film è meritatamente dedicato. Autore, tra l’altro, anche della colonna sonora del film di Paola Randi, Into Paradiso (2010) con il quale la regista ha esordito felicemente.
I temi di questo secondo lavoro si fanno più intimi. Sono quelli della perdita, dell’incapacità a lasciare andare le persone care che non ci sono più, l’ostinazione a trattenerle, a costo di grandi sofferenze. È ciò che vive il professore, e qui Valerio Mastandrea è proprio Valerio Mastandrea nelle sue parti più riuscite, quelle dell’uomo che si è perso e fatica a ritrovarsi: inadeguato, spaesato, arruffato, chiuso in un mondo tutto suo; le parole solo quelle indispensabili. Da anni lo scienziato languisce su un divano azzurro, in un paesaggio lunare del Nevada (lui, così stralunato!), ai confini niente meno che con l’Area 51, sotto un’antenna che dovrebbe captare le voci dall’universo. Ma i suoi studi si sono interrotti da quando ha avvertito e perduto la voce della moglie, morta anni fa; sul viso e nei gesti del professore tutto il fallimento della sua ricerca, insieme alla mortificazione, alla colpa e alla paura per i ricordi che si allontanano.
Anche suo nipote Tito (Luca Esposito), arrivato da Napoli, vorrebbe comunicare con il padre che prima di morire lo ha affidato allo zio, insieme alla sorella adolescente, Anita (Chiara Stella Riccio). Ma le voci dalla profondità dello spazio tacciono, mentre il deserto americano risuona della parlata napoletana dei due. Sono davvero molto buffi, loro che si aspettavano le luci e i divi di Las Vegas (Anita, soprattutto) e si ritrovano in un’inimmaginabile desolazione. Avviliti, urlano e litigano in un napoletano vivo che contrasta con l’abbandono del posto, buttandosi addosso le proprie frustrazioni e facendoci ridere nonostante siano arrabbiati davvero. Ma poi loro si abbracciano e il pubblico si commuove, perché Tito e gli alieni è soprattutto un film di affetti, tanto da sciogliere anche il cuore in inverno dello zio.
Gli alieni del titolo sono reali o fantasticati? “Siamo tutti un po’ alieni per qualcuno“, dice Paola Randi del suo film “che vuole dare un profondo messaggio di speranza“. È alieno il professore, chiuso in una sofferenza che lo isola dal mondo, ma gli altri lo sono per lui, soprattutto i due nipoti così assoluti nei desideri, così vivaci, per un uomo che di desideri non ne ha più, di energia ancora meno. La figura di donna inserita nella storia, Stella (Clémence Poésy), anche lei stravagante ma vitale, che nella quotidianità fa da tramite tra il professore e il mondo, sarà la facilitatrice nel rapporto con i ragazzi. E noi con loro speriamo che i due si innamorino e vadano a vivere altrove felici e contenti.
Fin dalla prima scena, mentre racconta il dolore, Paola Randi costruisce immagini di un’armonia che affascina, di colori tenui che rilassano, a contenerlo il dolore, tenendolo a bada in ogni momento. Consentendosi anche sorprese narrative frequenti, non a perseguire effetti stranianti, bensì una piacevole lievità.
Il film arriva nelle sale sei mesi dopo la sua presentazione al Torino Film Festival e dopo aver vinto il premio per la regia e migliore attore protagonista al Bif&st 2018. Esce giovedì 7 giugno, insieme all’ultimo lavoro di Cantet, L’atelier. Diversi per temi e per ritmi, entrambi da non perdere.