Cartoon Saloon. Ovvero, direttamente dall’Irlanda, una delle realtà più sorprendenti e creativamente valide, emerse in questi anni nel panorama dell’animazione mondiale. A testimoniare la vitalità della nuova factory, due titoli che ci sono entrati subito nel cuore: The Secret of Kells (2009) e Song of the Sea (2014). Ma per entrambi i lungometraggi diretti da Tomm Moore (il primo a quattro mani con la sodale Nora Twomey, peraltro), vi era al centro una specificità irlandese che tanto a livello iconografico che di tracce narrative aveva saputo fare la differenza. Con The Breadwinner, che dopo altre prestigiose vetrine ha fatto capolino Out of Competition anche al Future Film Festival, il timore era forse che l’ambientazione così differente, unita a spunti sociali e umanitari di tutt’altra provenienza, portasse a snaturare il prodotto. Del resto il film, diretto stavolta proprio da Nora Twomey, a livello produttivo è nato in simbiosi con la volontà di una Angelina Jolie fermamente determinata, nelle vesti di co-produttrice, ad affrontare i temi senza dubbio delicati del bestseller pubblicato da Deborah Ellis.
Quindi l’Afghanistan e i Talebani. L’emancipazione femminile e l’intolleranza religiosa. L’oppressione individuale e l’anelito alla libertà. I dubbi erano legittimi: come si sarebbe inserito tutto ciò nella poetica di un lungometraggio d’animazione targato Cartoon Saloon? Ebbene, a nostro avviso ne è uscito fuori un validissimo compromesso estetico e narrativo, in grado di rispettare “a targhe alterne” tanto l’urgenza sociale implicita nel soggetto, tanto le prerogative essenziali dell’immaginario presente nei precedenti lavori.
Protagonista del racconto è Parvana, coraggiosa ragazzina costretta dopo il brutale e arbitrario arresto del padre ad arrabattarsi in ogni modo, pur di soccorrere la propria famiglia in difficoltà, giungendo persino a travestirsi da maschio per compiere quelle operazioni necessarie alla loro sopravvivenza (acquistare cibo, prendere l’acqua dal pozzo, vendere qualche bene superfluo al mercato) che alle donne non accompagnate da un famigliare risulterebbero proibite, nel regime oscurantista e liberticida dei Talebani.
Davanti ai suoi occhi si susseguono episodi drammatici. Minacce e divieti, associati talvolta a percosse o ad altre punizioni. Ma sia Parvana che l’altra giovanissima amica da lei incontrata al mercato, ed in condizioni più o meno simili alla sua, non si rassegnano e continuano a lottare, nella speranza di sottrarsi a quell’incubo. La realtà circostante è decisamente sinistra. Ma alla ragazza giovano di sicuro quei voli di fantasia, quelle fughe in un immaginario diverso dove i mostri possono essere affrontati e sconfitti, da cui sembra trovare la forza per non arrendersi mai…
Ecco, qui vi è probabilmente la chiave di volta del film. Laddove nella sua dimensione socio-politica e nelle scene relative al presente The Breadwinner tende forse ad omologarsi un po’, a ricalcare persino nel character design dei personaggi principali altri esempi di animazione contraddistinti da un certo impegno civile (e in questo comunque lodevoli, per quanto non sempre altrettanto originali e brillanti), l’esercizio di storytelling condotto in parallelo consente a Nora Twomey di recuperare un timbro più autentico, genuino. Sia la dimensione favolistica del racconto nel racconto, sia quell’iniziale divagazione storico-leggendaria del papà di Parvana sul passato della regione (da Alessandro Magno alle contese imperialistiche di epoche più recenti), rappresentano lo strumento ideale per inserire quelle varianti stilistiche e grafiche che rimandano alla Tradizione, all’Epos, al Mito. E in ciò vi è il degno contrappunto di quella ricerca sulle tradizioni gaeliche e sulla cultura monastica medioevale in Irlanda, che agendo da sostrato in The Secret of Kells e Song of the Sea ne aveva in parte garantito la bellezza e la presa sul pubblico.