Workshop/L’atelier di Laurent Cantet arriva su MUBI il 29 gennaio con il titolo inglese. Noi l’abbiamo conosciuto con quello francese, al settantesimo Festival di Cannes e in sala nel 2018.
Prodotto da Archipel 35 /Archipel 33 (produttore Denis Freyd) è stato distribuito in Italia da Teodora Film.
La recensione di L’atelier dal Festival di Cannes di Elisabetta Colla
La recensione di L’atelier, uscito in sala, di Margherita Fratantonio
Workshot/L’atelier la trama
La Ciotat, sud della Francia, estate. Antoine ha accettato di partecipare a un laboratorio di scrittura in cui pochi giovani devono scrivere un thriller con l’aiuto di Olivia, una famosa scrittrice che fa da coach. Il processo di scrittura richiamerà il passato industriale della città, una forma di nostalgia a cui Antoine non è particolarmente interessato. Il suo interesse si concentra più sulle paure del mondo moderno e ciò lo porta a scontrarsi presto con il resto del gruppo e con Olivia, al contempo allarmata e affascinata dalla violenza di Antoine (FilmTV)
Una lezione all’aperto del film
Workshop/L’atelier i confini esterni e interiori
Come nel film Entre les murs (diventato assurdamente La classe in Italia), Palma d’Oro a Cannes, in Workshop/L’atelier, Laurent Cantet riprende la relazione tra un adulto e un gruppo di giovani, cresciuti rispetto a quelli di dieci anni fa, se pure ancora problematici.
Dalla banlieue parigina ci si sposta a La Ciotat, ma anche qui si avvertono i muri che impediscono la crescita serena dei personaggi. Non quelli dell’aula scolastica (anzi, le lezioni sono spesso en plein air). Piuttosto dall’ambiente soffocante della città in crisi economica, al quale si aggiungono i confini rigidi che i giovani stessi a volte si costruiscono, facendo scelte rassicuranti e nello stesso limitate, sbagliate.
Chi diceva che ciò che è un problema per gli adulti è invece una soluzione per gli adolescenti?
Vale soprattutto per Antoine (Matthieu Lucci), il ragazzo con più talento e meno disposto a mediare all’interno dell’atelier, un laboratorio di scrittura organizzato dai centri di formazione della città. Lo gestisce Olivia (Marina Foïs), scrittrice di successo, abile nel coinvolgimento e nella fondazione del gruppo, nell’ascolto e nel rispetto di ciascuno.
Workshop/L’atelier I giusti confini nella relazione educativa
Una scena al di fuori del lavoro di scrittura
Loro, i corsisti, come spesso succede nelle narrazioni che trattano di relazione educativa, sono molto critici all’inizio, ma impareranno presto a fidarsi e affidarsi. A credere che scrivere possa essere davvero un’avventura. Per Antoine, invece, non può immaginarsi avventura nel luogo così smorto che è La Ciotat. A niente valgono gli incoraggiamenti di Olivia. Il primo testo che Antoine finalmente produce è fortemente provocatorio, tanto da rinnovare le tensioni finalmente sopite all’interno del gruppo.
Anche in Workshop/L’atelier, come in Entre les murs, si scontrano culture diverse, in più, nel ricordo ancora cocente del Bataclan, alla data del film.
Un altro cliché di questi racconti vede l’insegnante farsi carico dell’allievo più ribelle e Olivia non si sottrae alle aspettative. Ma la sua attrazione ha qualcosa che sconfina un po’ troppo nel privato (anche la giusta distanza tra docente e allievo è un terreno scivoloso e spesso battuto).
Antoine, approfittando del thriller che il gruppo ha scelto di scrivere insieme, comincia a farneticare di omicidi gratuiti e compiacimento della violenza. Escluderlo dal laboratorio o trattarlo autorevolmente?
Proprio da questo grido di aiuto, travestivo di spavalderia, inizia il thriller psicologico che vede i due attrarsi, spiarsi, inseguirsi. Sono pedinamenti dell’anima, che avvengono banalmente in rete o più romanticamente nello strapiombo sul mare che Antoine ha scelto come luogo della sua solitudine.
Proiezioni e rimandi nella relazione educativa
Cosa possono condividere un’intellettuale cinquantenne, bella, raffinata, affermata e un ragazzotto di provincia che passa il tempo tra videogiochi (l’incipit del film è proprio un videogioco d’ azione) e una compagnia molto discutibile? Che non nasconde idee razziste e gioca con la pistola?
Apparentemente nulla, ma è facile essere coinvolti nelle proiezioni, nei rimandi, nella ricerca della parte negata di se stessi che si riconosce in un altro, mai del tutto estraneo, respinto e cercato come l’ombra che sempre ci perseguita. Cantet dà prova ancora una volta di saper insistere sui volti, sui primi piani, sui silenzi e il non detto, che senza fretta approfondiscono i personaggi e le loro stravaganti relazioni.
Il contesto sociale senza nessuna attrattiva
I ragazzi del corso di scrittura e Marina Foïs nel film
Se Antoine non è poi così lontano da Olivia, ancor meno lo è dagli altri ragazzi del gruppo, nonostante i litigi e la sua aria da spaccone. Condividono tutti la confusione dei giovani di oggi, un’amara contemporaneità che ci lascia male alla fine del film.
Infatti, le dinamiche mentali dei due protagonisti sono inserite in un contesto sociale privo di attrattiva, tanto da dar quasi ragione ad Antoine che, all’inizio del laboratorio, sostiene di non riuscire, lì, a esercitare un briciolo di fantasia. La Ciotat non è più quella in cui si lavorava a pieno ritmo nei cantieri navali. I ragazzi dell’atelier, invitati a parlare della loro città, faticano a trovare un legame con il passato, nella mancanza di prospettive per il futuro e in un presente che non li contempla.
Afferma Laurent Cantet: “Devono confrontarsi con una serie di problemi completamente diversi: trovare il proprio posto in un mondo che ha per loro una scarsa considerazione, avere la sensazione di non aver nessun controllo sulle cose e tanto meno sulle proprie vite. Ma soprattutto sono costretti a confrontarsi con la società violenta e lacerata da terribili questioni politiche e sociali”.
Cantet testimone dello spaesamento giovanile
Gli aspetti generazionali e psicologici si caricano così di significati politici, come nella prima storia di Cantet, Le risorse umane (1999), in cui lo scontro tra padre e figlio avveniva su uno sfondo lavorativo di tensioni e ridimensionamenti.
Sono passati vent’anni da allora e la nostra società è solo peggiorata. Per cui Cantet, in Workshop/L’atelier, non può che farsi testimone, ancora una volta, dello spaesamento, e dei difficilissimi processi identitari vissuti dai più giovani.
E, ancora una volta, lo fa con il suo stile: una finzione che sa di reale e che sa emozionare.