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The Strangers – Prey At Night di Johannes Roberts, l’ennesima riproposizione di cliché di cui si è fin troppo abusato in passato

Ispirato a The strangers di Bryan Bertino, il nuovo capitolo di Johannes Roberts ha in comune col prototipo solo alcuni elementi. Quanto v’è di nuovo e originale si rivela purtroppo la parte più debole e mancante d’inventiva

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Ispirato a The strangers di Bryan Bertino (2008), uno dei più riusciti film dell’orrore del decennio passato, questo nuovo capitolo diretto da Johannes RobertsThe Strangers – Prey At Night, ha in comune col prototipo solo le misteriose fattezze degli assassini e l’assenza di un movente per i loro delitti, ovvero i punti di forza della sceneggiatura dell’allora esordiente regista e autore. Quanto v’è di nuovo e originale si rivela purtroppo la parte più debole e mancante d’inventiva, e qualche sequenza riuscita non vale a riscattare l’opera da un senso di dejà-vu che affligge molto cinema di genere d’oltreoceano da almeno un paio di decenni a questa parte.

La cronica carenza d’idee che colpisce l’industria hollywoodiana da ormai parecchi anni non è certo una novità: basti pensare agli adattamenti della serie nipponica The ring, o quello dell’originale hongkonghese che fece Scorsese in The departed, o Tarantino col nostro Quel maledetto treno blindato in Bastardi senza gloria. Ma il cinema americano suole anche iterare fin all’inverosimile (o meglio, fin alla saturazione del pubblico) opere originali come Nightmare e Scream di Wes Craven, Halloween- La notte delle streghe di John Carpenter e Venerdì 13 di Sean S. Cunningham, tanto per citare i più noti.

Non sfugge a tale usanza (rifacimento, aggiornamento, remake, come voglia chiamarsi) nemmeno il film d’esordio di Bryan Bertino, teso e compatto dall’inizio alla fine, concentrato sulla costruzione di un’atmosfera di minaccia incombente cui è impossibile sfuggire, per nulla preoccupato (ma in un film di genere, che deve puntare tutto sulla tensione emotiva, la trama e la coerenza narrativa contano meno di niente) di spiegare le motivazioni che spingevano gli assassini mascherati ad aggredire una coppia in crisi e prossima alla separazione. Dopo un breve prologo che stabiliva la situazione di partenza, ecco irrompere la follia omicida, rappresentata da minacciosi figuri senza volto che, senza motivo, si accaniscono sadicamente sugli inermi protagonisti. Valore aggiunto del film era, inoltre, un finale a sorpresa che capovolgeva le regole del genere: in apparenza disforico, si rivelava al contrario positivo, ma veniva rappresentato con una tale violenza e rapidità, frutto di una non comune intelligenza cinematografica, da farlo sembrare negativo, tanto riusciva a colpire lo spettatore sfruttando appunto l’effetto sorpresa concentrato nell’ultima inquadratura.

Qui, a differenza del film di Bertino, che entrava subito o quasi nell’azione vera e propria, lo spettatore deve sopportare una prima mezz’ora di contrasti familiari tra genitori e figli adolescenti, che ben poco giovano a creare un clima di tensione e di paura. Quando finalmente il film si rivela per quello che è, ovvero un horror puro e semplice, il cui unico fine dovrebbe esser quello di spaventare lo spettatore, i difetti risultano ancor più evidenti: i tre assassini mascherati ricordano fin troppo da vicino personaggi tratti da opere certo più riuscite, tanto noti da risultare immediatamente riconoscibili: le due ragazze con indosso una maschera di bambola rimandano a quella già vista in V per vendetta di John McTeigue; mentre il personaggio maschile non può non rammentare il celebre Faccia di cuoio di Non aprite quella porta di Tobe Hooper. Non si tratta, pensiamo, di citazioni, omaggi o semplici ammiccamenti, ma soltanto di parassitismo e vuoto mentale da parte dell’autore e del regista. Ben più efficace era la trovata di coprire di semplici sacchi di iuta il volto degli assassini nel film di Bertino, così da trasformarli, privi com’erano di tratti somatici anche appena abbozzati, in pure incarnazioni del male, dunque ancor più inquietanti nel loro gratuito e immotivato sadismo.

Pesanti debiti si riscontrano inoltre con un altro horror già menzionato che, come gli altri, ha originato un finale di non eccelsa fattura: ci si riferisce a Venerdì 13, cui gli autori, oltre al film di Bertino, paiono aver guardato con particolare attenzione; infatti, il canovaccio non è dissimile da quello del film di Miner: se là avevamo uno stuolo di campeggiatori massacrati da un assassino mascherato, qui abbiamo tre Jason con altrettante maschere diverse e quattro vittime, legate questa volta da vincoli familiari che, quando si troveranno in pericolo di vita, consentiranno loro di superare le incomprensioni e gli screzi iniziali. L’unica scena efficace, quella ambientata nella piscina del campeggio, forte di alcune scelte di regia e di montaggio particolarmente funzionali a colpire lo spettatore, non vale tuttavia a riscattare un film incapace di reggere il confronto col prototipo, limitandosi a riproporre un canovaccio fin troppo abusato. Il tema dell’invasione da parte di estranei con intenti omicidi nella quiete domestica era già stato trattato, pur sotto un diverso profilo, morale e non dell’orrore, da Michael Haneke in Funny games (1997) e nella sua versione anglofona di un decennio più tardi. Oltre alla già citata scena della piscina, l’unico elemento che strappa un sorriso è la maglietta dei Ramones indossata per tutto il film dalla giovane Kinsey (Bailee Madison): evidentemente, fra gli adolescenti americani il punk va ancora di moda.

  • Anno: 2018
  • Durata: 85'
  • Distribuzione: Notorious Pictures
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Johannes Roberts
  • Data di uscita: 31-May-2018