Germania anno zero, un film del 1948 diretto da Roberto Rossellini. È il terzo film della cosiddetta trilogia della guerra antifascista di Roberto Rossellini dopo Roma città aperta del (1945) e Paisà, realizzato nel (1946): è considerato una delle vette del neorealismo. Come indicato nei titoli di testa, il film è dedicato alla memoria di Romano Rossellini, figlio del regista, prematuramente scomparso a 9 anni nel 1946. Il film è stato girato tra l’agosto del 1947 e il febbraio del 1948 in parte tra le macerie della Berlino dell’immediato dopoguerra (per quanto riguarda gli esterni) e in parte a Roma (per le scene di interni). Il film è stato girato in prima battuta in tedesco e poi doppiato in italiano a cura di Sergio Amidei. Quando Roberto Rossellini si recò a Berlino per il film, organizzò i provini per trovare gli attori; ad uno di questi, come racconta nella sua autobiografia, partecipò anche un giovane Klaus Kinski. Dopo ore di attesa nella sala d’aspetto con altri aspiranti attori, le audizioni tardavano ad iniziare, mentre il regista si dilungava al telefono con Anna Magnani: in uno dei suoi tipici scatti di rabbia, Kinski si mise ad inveire contro Rossellini, che subito replicò: «Chi è quello? Mi interessa! Fategli un provino!».
Sinossi
Le vicende del piccolo Edmund nella Berlino devastata dai bombardamenti: il padre invalido, il fratello maggiore nazista ricercato, la sorella prostituta. L’unica persona con cui riesce a comunicare è un professore ex-nazista, che lo spinge ad avvelenare il padre. Infine Edmund si butta da un palazzo diroccato. Capolavoro di estremo pessimismo che sposta nella Germania sconfitta l’indagine della realtà contemporanea di Roma città aperta e Paisà. Rossellini va oltre il neorealismo, in uno sguardo disincantato sulla storia e sulla natura umana. Tra le vette della storia del cinema il vagare finale, muto, del bambino tra le macerie della città: immenso e insostenibile.
«Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell’infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell’innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa.»
(Cartello introduttivo del film)
Germania anno zero è il film conclusivo di un’ideale trilogia neorealista che comprende anche Roma città aperta e Paisà; rispetto ai due film precedenti è meno conosciuto, ma a livello di stile probabilmente non risulta inferiore, soprattutto rispetto a Roma città aperta che era opera ancora parzialmente ibrida in cui “il nuovo convive col vecchio, i grandi lampi di verità con momenti di maniera romanzesca” (Morandini). In Germania anno zero la rappresentazione filmica non concede alcunché al romanzesco, è volutamente scarna, austera e anti spettacolare e si concentra sulla triste vicenda del piccolo Edmund, che cresce in una società malata e si avvia lungo una strada che lo porterà all’auto-distruzione. La macchina da presa diviene più mobile rispetto alle opere precedenti e le inquadrature più lunghe, avviandosi verso l’utilizzo del piano-sequenza che sarà preponderante nelle opere della maturità; il quadro della realtà sociale della Germania del dopoguerra è angosciante e non cede a tentazioni assolutorie o semplicistiche. Racconto scarno dalla narrazione latitante, secco, duro e spigoloso, scevro da fregi retorici, tra registrazione della realtà e dramma individuale, mestamente ripiegato e spiegato paratatticamente sul delinearsi di una generale, epocale sconfitta umana al di là degli schieramenti e delle ideologie. Nella narrazione svuotata, accade – come nei film neorealisti più interessanti – che l’azione lascia il posto allo sguardo, alla visione cruda dello squallore e dell’inaccettabile malignità della realtà. Uno dei film più duri e disperati di Rossellini. Difficile vederlo con animo sereno: il regista sembra spingere lo spettatore a sprofondare lentamente nell’abisso melmoso creato dalla guerra: coglie alla perfezione lo spirito annullato di un popolo raso al suolo da una tragedia forse più grande della guerra stessa, perché portava con sé l’abominio dei campi di sterminio. Edmund diviene il simbolo di un’infanzia violentata dalla sconfitta tedesca nel recente conflitto, il simbolo del senso di colpa di un’intera nazione e della sua difficoltà a fare progetti costruttivi per il futuro. Formalmente assai moderno, il film conserva un rigore drammaturgico che gli ha impedito di invecchiare precocemente.
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