Il Miracolo è stato un prodotto profondamente, assolutamente autoriale: l’impronta stilistica di Niccolò Ammaniti è forte in ogni svolta narrativa, mentre lo stile, pur essendo il risultato dell’unione di tre registi, è assolutamente coeso e soprattutto personale, senza nessun cedimento all’easy telling. Anzi, la storia de Il Miracolo è tutto fuorché facile: dal tema con risvolti pericolosamente religiosi fino ai personaggi e ai loro percorsi (un prete che ha perso la fede, un presidente italiano che ha perso l’elettorato, una famiglia che ha perso l’amore, una scienziata che ha perso le sue convinzioni) che elaborano i vuoti delle loro vite e che all’improvviso sembrano riempirsi con questo “miracolo”.
Ovviamente non si lascia nessuno spiraglio per qualche spiegone logico (caratteristica che ha spesso rovinato molti serial incentrati su misteri insolubili), mentre il bellissimo finale lascia aperte le storie che non potevano, ma soprattutto non dovevano, concludersi contemporaneamente alla parola FINE.
Su tutto, il gran lavoro della regia: poteva sembrare un ensemble insolito, quello di Francesco Munzi (Anime Nere), Lucio Pellegrini (È Nata Una Star?) e Niccolò Ammaniti a fare da trait d’union: invece, complici l’immagine fortissima di partenza e un plot esplosivo, le otto puntate scorrono via velocissime, con sequenze che si impigliano negli occhi e un lavoro di resa visiva non indifferente – specie nella scelta del colore rosso, che con le sue varie gradazioni sembra dominare la scena-, il tutto volto a un risultato che scardina alcune regole della tv generalista e restituisce una storia potente e fortissima, capace di insinuarsi nella quotidianità tramite un evento innaturale.
Grandissima la resa degli interpreti: dalla “solita” Alba Rohwacher a un sorprendente Tommaso Ragno, fino alla coppia “dolorosa” di Guido Caprino ed Elena Lietti. Il senso del mistero e dell’immanenza ha pervaso tutto fino all’ultimo e ogni segmento narrativo è stato portato a compimento nella maniera più naturale e forse dolorosa possibile.
Abbiamo incontrato uno dei tre registi, Lucio Pellegrini.
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Il tuo percorso cinematografico da autore (con titoli belli e importanti come Figli Delle Stelle e La Vita Facile) era abbastanza lontano dalle tematiche esplorate da Ammaniti nel serial di cui firmi la regia – a sei mani con Francesco Munzi e lo stesso Niccolò: come ti sei avvicinato a questa materia per te inedita?
Tranne l’ultimo mio periodo in cui mi è capitato anche di fare un film per la tv ambientato in Afganistan, con toni drammatici, tratto dal romanzo di Mazzucco, era mia intenzione provare a spostarmi. Con Niccolò poi c’è un rapporto personale e di stima reciproca, che va avanti da anni; e quindi è stato abbastanza naturale per lui coinvolgermi in quest’avventura e condividere con me delle scelte di messa in scena e di atmosfera, che poi abbiamo cercato di realizzare in queste lunghissime settimane in cui poi abbiamo girato Il Miracolo.
Proprio nella messa in scena: siete comunque in tre a firmare la regia, ma il risultato è particolarmente coerente con se stesso dal punto di vista estetico e narrativo. Come avete messo insieme i vostri sguardi, che poi sono molto personali e autoriali?
C’è stato un grandissimo lavoro di preparazione fatto insieme: ci siamo raccontati e riraccontati più o meno quello che avremmo voluto girare, come lo avremmo voluto fare e con quali tensioni all’interno di ogni scena e situazione, prima. Poi ci siamo sostanzialmente “divisi” il materiale, io su alcune parti, Francesco su altre e Niccolò è passato da un set all’altro, e nell’ultima parte ha anche girato alcune cose in autonomia, come se avesse fatto una sorta di apprendistato all’inizio e poi pian piano è entrato in modo molto maturale lavorando da solo, perché comunque era una prima esperienza su un tipo di lavoro anche molto complesso, dal punto di vista artistico ma anche produttivo. Quindi abbiamo cercato di integrarci, mettendo insieme le nostre esperienze e le nostre visioni. Anche secondo me è molto coerente! Siamo noi i primi a essere piacevolmente sorpresi del risultato.
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In genere al cinema o in tv quando ci sono più mani alla sceneggiatura, ma soprattutto alla regia (pensiamo al caso attuale di Solo- A Star Wars Story) può notarsi una distanza di stile e di “carattere” nel girato. Invece con Il Miracolo avete, appunto, fatto un piccolo miracolo registico, è tutto perfettamente in linea.
Anche quando abbiamo girato noi separatamente c’è sempre stato un forte lavoro di scambio con Niccolò che sapeva bene quello che voleva dalla storia che stavamo raccontando; poi abbiamo condiviso il desiderio di provare a narrare una storia con una tensione continua e, sicuramente aiutati dalla situazione che è molto estrema, e anche dall’immagine della Madonna che sanguina e che riverbera in ogni momento, anche nelle parti che sembrano più distanti. Però partendo da questa sensazione e da questo concetto, che veniva trasmesso continuamente dalle immagini, abbiamo provato a dare corpo a una tensione strisciante, continua, all’interno di ogni momento. Questa è rimasta la cifra generale in tutte le otto puntate: perché poi alla fine è come un lungo film di otto ore quasi.
Oggi i serial danno l’opportunità che da questo punto di vista non dà il cinema, cioè quella di creare una storia molto più ampia dove si possono approfondire meglio certi aspetti.
Si, diciamo che per un romanziere come Niccolò, che ha capacità di produrre così tanto materiale narrativo, è proprio il formato giusto: spesso i film tratti dai suoi libri, pensa a Come Dio Comanda, sono state delle riduzioni un po’ troppo scarne, considerata la mole di partenza, e invece questa volta con otto ore di racconto c’è stata l’opportunità, a chi ha questo approccio alla scrittura, di approfondire personaggi e situazioni, di trovare un’espressione compiuta.
Tu hai fatto già diverse fiction di successo in tv: ma parlando di te, come autore di cinema, avevi e hai già una cifra stilistica ben delineata e precisa. Ci sono film come La Vita Facile che sono dei piccoli gioielli anche di scrittura, di racconto, quasi riprendendo quella famosa tradizione della commedia “all’italiana” e non “italiana”. Ne Il Miracolo hai messo qualcosa di tuo? Qualche tua ossessione stilistica?
Innanzitutto c’è una grande condivisione sul tema: nel senso che quello che abbiamo raccontato è un argomento che ossessiona anche me, e non soltanto Niccolò, nella mia vita personale privata. E poi la cosa su cui veramente ho cercato di mettere di più, che penso sia anche il mio specifico (aldilà del tipo di tono che affronto nelle storie che racconto, perché a me piace essere più eclettico possibile, anche se qui in Italia non è facile) è lo sguardo sui personaggi, questa grandissima attenzione alla messa in scena dal punto di vista del racconto psicologico dei caratteri. Qua i personaggi si muovono in un mondo molto teso, molto oscuro, molto cupo, molto disperato e vitale: quindi ho cercato di mantenere questa tensione su di loro, e penso che ci sia una coerenza forte con quello che ho fatto in passato. Anche se poi questa volta i contesti erano diversi, le situazioni erano diverse, però c’è quel tipo di attenzione, di sguardo e di orecchio nella messa in scena, di musicalità della scena in sé, in cui mi sento molto rappresentato, anche per quello che sto diventando e per come sto crescendo e mi sto evolvendo, umanamente e spero artisticamente. Perché poi c’è questa opportunità lavorando su un testo così intenso.
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I tuoi film sono molto riusciti perché c’è una grande attenzione ai personaggi: Claudia Pandolfi, Vittoria Puccini, ma anche soprattutto Pierfrancesco Favino, nei tuoi film hanno avuto dei ruoli perfetti.
Anche qua il lavoro di casting è stato fondamentale: su 120 attori per ogni personaggio abbiamo ponderato e riponderato la scelta. Perchè molto del lavoro si fa nella scelta: e assegnare il ruolo giusto all’autore giusto fa molto, quando sbagli in partenza c’è poco da riparare poi.
Non so quanto sia voluto: ma per Il Miracolo non avete preso i “grandi nomi”, i volti noti e anche inflazionati in tv, vi siete concentrati su grandissimi caratteristi e interpreti eccezionali, come Guido Carpino, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Sergio Albelli.
Abbiamo preso gli attori che pensavamo più giusti per le parti! In questo senso, lavorare con Sky è ottimo, perché loro non hanno quel tipo di “condizionamento” che puoi trovare altrove con altri produttori. Abbiamo lavorato con grande libertà, e questo paga sempre; e poi c’è il lavoro sul set. Che quando si prolunga per molte settimane è molto delicato, perché c’è comunque da tenere conto che si passa a girare scene della prima puntata a scene dell’ottava nello stesso giorno e bisogna sempre sapere dove si sta, e trovare ogni volta la cifra giusta, l’emotività adatta per dare coerenza e linearità allo sviluppo dei personaggi e alle relazioni tra di loro; insomma c’è un lavoro di grande preparazione e attenzione. E penso che questa si un po’ una cifra che mi contraddistingue, infatti credo sia uno dei motivi per cui Niccolò mi ha chiamato, oltre al fatto che c’è da costruire un immaginario, e abbiamo pensato che lavorando insieme giorno per giorno saremmo riusciti a creare una credibilità in una situazione che non è per nulla realistica, e che quando è accaduta è accaduta in contesti diversi rispetto a quelli dove si sviluppa la nostra storia.
Credo, e anzi penso e spero, che tu continuerai a fare film per il grande schermo; è da un po’ che non lavori su un set cinematografico, dal 2012 se non sbaglio: non ti chiederò specifiche, ma puoi accennarci qualcosa sui tuoi progetti futuri?
Si, guarda, sto lavorando proprio adesso a un prossimo film. Ho avuto un progetto molto complesso che alla fine non sono riuscito a montare, avrei dovuto fare questo film un annetto fa ma c’è stata l’opportunità di realizzare Il Miracolo; comunque girerò un film con la Fandango quest’estate, un’opera corale, mescolando i toni e i generi, anche se l’impianto di scrittura è forte.
Anche con Figli Delle Stelle mescolavi un po’ i generi.
Si, infatti, anche se questo mio prossimo è un po’ diverso, c’è uno scontro di psicologie; ma finché non incomincio meglio non parlarne!!
Gianlorenzo Franzì