The Truman Show, un film del 1998 diretto da Peter Weir e interpretato da Jim Carrey, fino ad allora conosciuto principalmente per ruoli comici in film demenziali, in una delle sue prove attoriali più apprezzate. Il film, candidato a tre Premi Oscar nel 1999 e premiato con tre BAFTA e altrettanti Golden Globe, è ispirato parzialmente a un episodio di Ai confini della realtà e alla moda allora nascente di raccontare la vita in televisione attraverso i reality show, immaginando una situazione paradossale, portata all’estremo, dalla quale emergono temi filosofici. Al Box Office Usa The Truman Show ha incassato nelle prime 7 settimane di programmazione 122 milioni di dollari e 31,5 milioni di dollari nel primo weekend. In totale gli incassi furono di circa 240 milioni di dollari. Il film venne realizzato con un budget di 60 milioni di dollari, dopo una lunga e controversa gestazione.
Sinossi
Ogni secondo di ogni giorno che passa Truman è, a sua insaputa, il protagonista della soap opera documentaristica più lunga e seguita della televisione. Seaheaven, la cittadina dove Truman abita è in realtà un gigantesco teatro di posa dove amici e parenti sono tutti attori pagati che recitano la loro parte. Tutto va avanti fino al giorno in cui Truman comincia a sospettare qualcosa.
Commedia di rara eleganza narrativa, con la quale si riesce a creare interesse e passione attraverso la ritmica degli eventi giornalieri e delle disavventure quotidiane di una normalità posticcia alla quale il protagonista è condannato. La conquista della consapevolezza è raccontata con astuta ironia, attraverso passaggi emotivi e costrutti scenici estrosi. La ribellione finale con la sconfitta del sistema è un momento di cinema veramente gustoso. La caduta della messa in scena continuata cui è sottoposto è per il protagonista un pirandelliano “squarcio nel cielo di carta”, un evento che distrugge la sua illusione di una vita normale; da lì ogni scoperta è un passo verso la verità. Peter Weir sfrutta egregiamente le qualità di un Jim Carrey ad altissimo livello, perfetto per il ruolo. Unico. La regia è grandiosa, la sceneggiatura è pressoché perfetta, la colonna sonora integrata benissimo nella vicenda e gli attori sono tutti bravissimi. Il finale, poi, è letteralmente da mozzare il fiato. Un film che, tutto sommato, non è pessimista come dovrebbe: infatti concede al singolo la possibilità di trovare il confine dell’illusione e scoprire l’inganno. Sarà così anche nella realtà? Inoltre, attualmente, siamo insidiati da un pericolo più sottile di quello di essere spiati in ogni nostra azione: c’è il dubbio, devastante, che ciò che ci viene mostrato dai media non sia affatto la “verità” popolata da “true men”, bensì una proiezione fittizia di ciò che vorremmo vedere, o, peggio, altri ci impongono come desiderabile. Gli scenari preconizzati da Guy Debord con La société du spectacle sono proprio di questo, ben più terrificante, tenore.