Un vortice di euforia e vulnerabilità travolge, in un unico vento leggero, gli spettatori in sala e i protagonisti sullo schermo all’anteprima del secondo lungometraggio, dal titolo Euforia, diretto con mano sicura da Valeria Golino, selezionato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, e proiettato alla presenza della regista e degli attori principali del film, Valerio Mastandrea, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Isabella Ferrari e Valentina Cervi.
Due fratelli diversissimi fra loro, sia per scelte di vita, sia per carattere, iniziano a frequentarsi davvero, dopo anni di lontananza fisica e affettiva, quando uno dei due, Ettore (interpretato da un Valerio Mastandrea nelle sue corde più autentiche), schivo e tranquillo professore di scuola media che vive in un piccolo centro di provincia, si ammala gravemente e necessita di cure ospedaliere nella capitale. Qui Matteo, audace imprenditore omosessuale del mondo dell’arte, ricco e sfrontato (Riccardo Scamarcio ben interpreta il ruolo di un narcisista spendaccione, amante della vita ma profondamente buono), apre al fratello la sua casa – e con essa il suo modo di vivere e i suoi amici – mettendosi a sua completa disposizione, economicamente e affettivamente, con quasi eccessiva generosità, di fronte a un evento tanto inatteso che sarà però in grado, nonostante il dramma annunciato, di riavvicinare i due fratelli in una dimensione ‘altra’, in un ‘qui ed ora’ consapevole e non più rimandabile. A fare da sfondo a questo insperato e tardivo ritrovarsi una Roma che avvolge i protagonisti nel suo ventre caldo e dorato, fatto di bellezza e contraddizioni, fra monumenti senza tempo, gabbiani invadenti, traffico e luce accecante.
“Ispirandomi a fatti accaduti a persone a me care, mi sono avvicinata, insieme alle sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella, con la collaborazione di Walter Siti, a questa storia come a un oggetto fragile e prezioso – ha affermato Valeria Golino – nel tentativo di tratteggiare, insieme ai protagonisti, anche la nostra contemporaneità. Un presente che sembra negare, rimuovere costantemente la transitorietà e l’irrazionalità proprie della condizione umana, spingendoci illusoriamente a credere di avere il controllo assoluto sulle nostre vite, sui nostri corpi, di poter vincere il tempo, fuggire il dolore e la morte. La malattia, invece, luogo della fragilità e della caducità, ci mette di fronte ai limiti della nostra esperienza umana, ma anche a quanto di più profondo e prezioso essa custodisce“.
Per Ettore la nuova vita è rappresentata da viaggi improbabili a Medjugorje, dall’acquisto di un orologio da novemila euro, da un autista privato che il fratello mette a sua disposizione per muoversi dentro la metropoli tentacolare e, soprattutto, da un nuovo sguardo sulla sua situazione esistenziale: separato di fatto dalla moglie (Isabella Ferrari), perché innamorato di una giovane donna, Elena (Jasmine Trinca), Ettore ha deciso di non portare avanti neppure la nuova situazione sentimentale, per amore del figlio ancora piccolo. Grazie al fratello deciderà di rincontrare Elena, parlarle della sua malattia, rispecchiarsi in un amore complesso e arrivato troppo tardi, in piena libertà. Dal canto suo Matteo, pronto a cogliere l’attimo fuggente di tutta la vita, inebriato dalle sue possibilità e credendo di poter gestire e controllare tutto con la ricchezza e l’intelligenza, sarà costretto a fermarsi di colpo e riflettere su quanto tutto sia in perenne cambiamento, compreso il destino umano, singolo e collettivo, appeso a un filo sottile, spesso del tutto indipendente da noi. Valeria Golino riesce a conferire ai due attori protagonisti, soprattutto a Matteo/Scamarcio, una caratterizzazione differente e nuovi linguaggi rispetto a molti film/personaggi da loro interpretati.
L’euforia del titolo, così ha raccontato la regista, s’ispira a quello stato di vertigine e libertà assoluta in cui possono venirsi a trovare i subacquei (sport praticato con passione da Ettore) a grandi profondità, bello e terribile, cui deve seguire la risalita immediata, prima di perdersi definitivamente negli abissi: è chiara la metafora con la relazione fra i due fratelli, che si sarebbe potuta dissipare per sempre se non vi fosse stata l’occasione della malattia, veicolo di conoscenza, riconciliazione, nostalgia dell’infanzia.
Gli amici di Matteo – l’amica del cuore Tatiana (una brava Valentina Cervi) e il convivente platonico segretamente innamorato di lui – e la terrazza della sua casa in pieno centro storico, la musica e il canto, fanno pensare alle feste e alle tavolate di Ozpetek e forse vi si sono ispirati.
Un plauso a Valeria Golino, che di strada ne ha fatta tanta, dagli anni Ottanta, quando era una giovane attrice che mordeva la vita e lo schermo, attraverso i tanti film recitati con registi del calibro di Von Trotta, Montaldo, Carpenter e mille altri, fino al suo esordio alla regia, nel 2013, con un’opera prima, Miele, già notevole, sia per il tema (l’eutanasia) sia per la capacità di trattarlo.