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78/52: Hitchcock e la doccia che ha cambiato il cinema

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Secondo lo scrittore losangelino Bret Easton Ellis è stato il primo film di serie A che ha affrontato una tematica trash da giornali scandalistici, mentre Alfred Hitchcock lo considerava un lavoro ironico, tanto che rimase attonito dal fatto che vi era chi lo aveva preso sul serio.

In ogni caso, è innegabile non solo che Psycho sia un intramontabile classico del thriller su celluloide e, in generale, della Settima arte, ma, soprattutto, che l’iconica sequenza in cui Janet Leigh viene uccisa sotto la doccia abbia influenzato, da sola, quasi tutta la successiva produzione cinematografica di tensione.

Una sequenza di una manciata di minuti che, ancor più breve nel libro di Robert Bloch da cui il tutto prese le mosse nel 1960, pur non mostrando praticamente nulla di esplicito ha contribuito non poco allo stimolo dello sviluppo del filone slasher, basato su omicidi sempre più efferati ed inscenati con dovizia di particolari.

Perché è proprio l’abilità con cui è stata costruita e montata a consentirle di suggerire efficacemente allo spettatore tutta la sua brutale forza, tanto che Alexandre O. Philippe – autore, tra l’altro, di The people vs. George Lucas – ha deciso di esaminarla, inquadratura per inquadratura, attraverso il documentario 78/52 – Hitchcock e la doccia che ha cambiato il cinema, datato 2017.

Un documentario girato in bianco e nero proprio come il capolavoro interpretato da Anthony Perkins e che, nell’analizzare anche il contesto sociologico ruotante attorno a quell’avvincente agglomerato di settantotto singole inquadrature e cinquantadue stacchi di montaggio, punta l’obiettivo della sua macchina da presa verso un’infinità di personalità appartenenti al mondo delle immagini in movimento.

Infatti, al di là della Tere Carrubba nipote del maestro che ci regalò Intrigo internazionale e Nodo alla gola, sono attori quali Elijah Wood, Illeana Douglas e Jamie Lee Curtis a prendere la parola nel corso della oltre ora e mezza di visione atta ad alternare interviste, ricostruzioni, confronti con sceneggiature e storyboard ed estratti da titoli quali Non aprite quella porta di Tobe Hooper, L’uomo leopardo di Jacques Tourneur, Irreversible di Gaspar Noé, Frankenstein di James Whale e Un secchio di sangue di Roger Corman; man mano che, oltre alla Marli Renfro che controfigurò la Leigh nella scena e che fu una delle prime conigliette di Playboy, intervengono, tra gli altri, il Joseph Stefano che curò lo script dal sopra menzionato libro e cineasti del calibro di Peter Bogdanovich, Karyn Kusama – regista di Jennifer’s body – e Richard Stanley.

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Non a caso, il fanta-movie Hardware diretto da quest’ultimo rientra tra le pellicole che ci viene mostrato hanno in qualche modo omaggiato il delitto della doccia in cui esplosero le paure che si insediavano nella gente degli anni Cinquanta, da Vestito per uccidere di Brian De Palma a Un gatto nel cervello di Lucio Fulci, senza dimenticare Sleepaway camp di Robert Hiltzik e le filmografie di Mario Bava e Dario Argento.   

Pellicole di cui vengono mostrate determinate immagini, come pure del dimenticabilissimo remake psychiano firmato nel 1998 da Gus Van Sant, che riprese pedissequamente e senza troppa fantasia il classico che sir Alfred realizzò in un periodo che lo vedeva ancora prigioniero del proprio passato, consapevole del fatto che non fosse più il tempo dei bei fronzoli in Technicolor.

Il classico di cui Mick Garris – artefice della serie tv Masters of horror, ma anche di Psycho IV – evidenzia l’importanza degli sguardi ed Eli Roth, invece, espone come sia stato il primo a farci pensare che siamo vulnerabili, nudi e soli sotto la doccia, oltre ad osservare che Gli uccelli è un film sulla casualità della vita.   

Il classico di cui il maestro dell’horror britannico Neil Marshall paragona l’impatto shockante che ebbe sul pubblico a quello de L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat proiettato a fine XIX secolo dai fratelli Lumière, arricchendo ulteriormente un cast di interpellati annoverante, inoltre, il musicista Danny Elfman, il montatore veterano Bob Murawski, il Leigh Whannell sceneggiatore e interprete della saga Insidious, Scott Spiegel – al quale dobbiamo il secondo Dal tramonto all’alba – e Guillermo del Toro, presente anche in ventidue minuti di intervista inclusi nella sezione extra del blu-ray limited edition distribuito da Koch Media attraverso la sua collana Midnight Factory, con booklet incluso nella confezione.

Sezione extra dispensatrice anche di introduzione a Psycho per mano del conduttore televisivo Ben Mankiewicz, quest’ultimo che intervista Philippe, diciannove minuti di filmato della registrazione della colonna sonora, cinquantacinque di conversazione con Walter Murch – storico montatore di Apocalypse now – e breve backstage relativo alla sequenza del melone, utilizzato a suo tempo nella ricerca del suono perfetto che rispecchiasse quello del coltello affondante nella carne.

Coltello il cui atto di squartamento, oltretutto, scopriamo grazie a questo coinvolgentissimo 78/52: Hitchcock e la doccia che ha cambiato il cinema essere stato anticipato in Psycho dall’immagine dei tergicristalli in movimento sul parabrezza bagnato dell’automobile.

E si tratta soltanto uno degli autoriali suggerimenti hitchcockiani qui scovati.

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