Ed è subito il (doppio) Toni Servillo show! La seconda e ultima parte del dittico dedicato al Cavaliere inizia con un formidabile dialogo a due, con un classico e tradizionale campo e controcampo, inframezzato da un paio di (artefatte) riprese frontali, tra Silvio e un suo sodale di lungo corso, ispirato alla figura di Ennio Doris, il fondatore di Mediolanum. È la dimensione privata quella che interessa particolarmente a Paolo Sorrentino, come già si era intuito nella seconda parte di Loro 1, rispetto alla sfera pubblica e politica.
Silvio nella sua villa in Sardegna, tra feste e ritrovi ufficiali e festini segreti e privati. Silvio che canta e Loro che guardano, Silvio che guarda orde di ragazze che si esibiscono e si dimenano per lui. Silvio e Veronica che se ne va, che lo lascia e chiede il divorzio. Silvio, l’uomo più ricco e potente d’Italia, che non si dà pace e che non riesce a comprendere come mai – dopo la sua discesa in campo – non è stato amato e benvoluto da tutti. Silvio che si emoziona e si sente vivo nel calarsi nuovamente negli abiti di un tempo, quelli del costruttore e del venditore immobiliare (gran pezzo di cinema la telefonata alla potenziale cliente pescata a caso dall’elenco telefonico). Silvio e il suo finto e pacchiano vulcano, nominato in più di una occasione (ciao Mike, quanto torni azioniamo il vulcano) e di cui, alla fine, sarà l’unico, mesto, spettatore. Silvio e la solitudine.
Sì, perché Sorrentino riesce a coglierne il dramma più intimo e lacerante e lo ritrae per ciò che è (sempre stato): un uomo solo, imprigionato e ingabbiato nella sua stessa, eterna, logorante e sfiancante messa in scena. Silvio è solo anche in mezzo a decine e decine di ragazze che fingono di ammirarlo per ottenerne in cambio favori e beni materiali, che si sforzano di ridere alle sue battute e alle sue barzellette, che si mostrano entusiaste sentendolo cantare. Un vecchio solo (Presidente, lei ha lo stesso alito di mio nonno) e bisognoso di cure psichiatriche, come sottolinea più volte Veronica prima di lasciarlo e di uscire per sempre dalla sua vita. Veronica che ha sempre saputo di stare con un eterno bambino, con un cialtrone che non la smette mai d’impersonare il (finto) politico e l’imprenditore di successo ma che alla fine è rimasto un semplice e volgare piazzista. Veronica che lo compatisce e lo disprezza e che è rimasta con lui per tanti, troppi, anni perché si era innamorata di quell’uomo, incapace di rivelarsi e di gettare la maschera anche nell’intimità del focolare domestico. Silvio che va all’Aquila dopo il terremoto e promette dentiere e una new town in tempi record. Già, L’Aquila, ferita, straziata e umiliata come la statua del Cristo che nell’accorato, splendido e felliniano epilogo emerge dall’alto e si rivela ai nostri occhi dopo essere stata estratta e portata in salvo dalle macerie di un Duomo che non c’è più