L’immagine. La superficie, il contenitore che diventa contenuto.
Con le immagini gioca il cinema, con le parole vive la letteratura: ed entrambi (immagini e parole) hanno un potere enorme, un potenziale sterminato, e riescono a dare un input immediato a chi guarda/legge.
Niccolò Ammaniti sembra conoscere bene entrambi i media: con la letteratura ha ovviamente un rapporto privilegiato, essendo capofila della generazione di scrittori cd cannibali, caratterizzati da un realismo esasperato ed accentuato; ma ha anche avuto frequenti e notevoli rapporti con il cinema, avendo avuto molti suoi romanzi notevoli trasposizioni su grande schermo (due con Salvatores, Io Non Ho Paura e Come Dio Comanda, Io E Te addirittura con Bertolucci).
Era inevitabile che i due sentieri si incrociassero: e proprio lì, nel punto di giunzione, sta l’Immagine. Quello da cui parte e si dirama tutto, l’idea, il motore immobile: che ne Il Miracolo è il volto di una madonna che piange sangue.
Ammaniti racconta che la storia del nuovo serial prodotto da Sky (e che si dimostra ulteriormente ottima matrice di prodotti notevoli) nasce da una visione, quella di una grande piscina ricoperta da un telo di plastica, all’interno della quale su una tavola di legno sta appunto una statuetta di una Madonna che piange lacrime di sangue scientificamente umano.
E come al solito, come era lecito aspettarsi, l’immagine è forte, lo sviluppo perturbante: cosa accadrebbe realmente se da un oggetto inanimato sgorgasse qualcosa di vivo? Cosa accadrebbe alle persone messe di fronte ad un fatto che ha inequivocabilmente del miracoloso?
Tutta la letteratura di Ammaniti è ammantata da un fortissimo senso dell’imminenza, specie se ad essere precipuo è una qualche Apocalisse, preannunciata da segni e segnali insoliti: tutto Il Miracolo è intriso quindi di lui, preso com’è dal mostrare le conseguenze dell’avvenimento sui suoi personaggi. Che sono, come al solito, spigolosi, pieni di ombre, esagerati ma vivi e tridimensionali, scavando in questo modo nelle radici del nostro essere, delle nostre più profonde e radicate convinzioni – qui, come altrove, nella religione e nella Fede. È così che le prime, straordinarie puntate de Il Miracolo non affondano nella sociologia spiccia, bensì costringono i suoi protagonisti – e il pubblico che guarda attonito – a fare i conti con è stessi, con l’antropologia culturale e le basi del nostro pensiero filosofico, con il Mistero. Mostrando quindi di riflesso il mondo e la socialità nella quale sono immersi.
In questo modo la chiave di volta narrativa sembra essere, almeno all’inizio, un Presidente delineato con risolutezza e ambiguità da Guido Caprino, che proprio in un momento delicato per il paese (nel serial, l’Italia è in procinto di uscire dall’Europa) viene messo di fronte ad un accadimento che, se di per sé è strettamente religioso, mostra però come le diramazioni possano essere così gigantesche e pericolose per la comunità che sta guidando da doverlo affrontare politicamente.
Il Presidente è ateo: e in una delle sequenze più affascinanti, indossa dei guanti di plastica esaminando lui stesso (nonostante l’abbiano già fatto scienziati e medici) la statuetta che continua a stillare sangue fresco: perché il “miracolo” è quella cosa che unisce ateo e credente, è l’essere umano al cospetto dell’ignoto, dell’inspiegabile. La parabola de Il Miracolo sconquassa le coordinate sensoriali e culturali dello spettatore: una costruzione narrativa impeccabile, un crescendo di tensione che mescola i generi e incrocia le storie con i loro tanti protagonisti (la dottoressa di Alba Rohrwacher, il prete di Tommaso Ragno, la donna misteriosa di Lorenza Indovina) in un nesso comune.
E se il contemporaneo Westworld, alla seconda stagione, si mostra perturbante nel senso più freudiano possibile, Il Miracolo (mostrandosi così assolutamente all’altezza di raffinate e sofisticate produzioni estere) è profondamente, prorompentemente disturbante, per come gioca con il nostro quotidiano e con il non detto, il rimosso e il rimorso, disallineando gli schemi che ci imponiamo – o che forse ci vengono imposti – mettendoci di fronte a qualcosa di Potente e Antico, talmente enorme da non poter essere neanche narrato. Ma inarrestabile, proprio come un fiotto di sangue.
GianLorenzo Franzì