Ambientata nell’Oregon del 1996, Everything Sucks è la storia di un gruppo di adolescenti, capitanati da Luke, che affronta il primo anno alla Boring High School. Il nome della scuola e della serie anticiperebbero il contenuto della vicenda se non si trattasse dell’esatto contrario. La Boring altro non è che una scuola media, un luogo di transito per tanti adolescenti che, come Luke, studiano e passano le proprie giornate.
Luke, invaghitosi della figlia del Preside, la timida Kate, decide di cogliere l’occasione per crescere come operatore di camera, e iscriversi assieme a Tyler e McQuaid, al gruppo degli audiovisivi. Luke ha una grande passione per il cinema e i videoclip musicali, vuole mettere in pratica le sue passioni, non lasciandosi scoraggiare da problemi personali o scolastici. Ed è questo il motivo per cui la serie, la stagione, riesce e convince.
Un personaggio che ‘normalmente’ sarebbe vittima di bulli e haters ma che, noncurante di tutto, va avanti per la sua strada. Gli stessi haters che potrebbero esserci, nella loro sfaccettatura psicologica – sono pur sempre degli adolescenti -, inseguono il loro sogno, il loro ideale, non lasciandosi vivere da odio, cattiverie o pregiudizi, oppure mettendo sentimenti negativi all’interno di qualcosa di costruttivo.
E forse gli anni novanta erano così, un periodo costruttivo in cui l’arte veniva sperimentata, ricercata, analizzata e in cui le mode del momento, i pantaloni a zampa, il vestirsi come il proprio idolo, altro non facevano che accompagnare un adolescente nella crescita personale, nell’analisi della sua identità psicologica e sociale. Gli adulti presenti chiudono la cornice della vicenda, coinvolti nelle difficoltà familiari e nei disastri scolastici dei figli, evidenziando un’epoca in cui si tentava di parlare con i propri figli e si cercava di ragionare con le altre figure adulte della loro vita senza cadere nella trappola della giustificazione o dello spalleggiamento.
La serie purtroppo ha una sola stagione, forse paga lo scotto di essere stata paragonata alla più fortunata Stranger Things con cui ha in comune probabilmente solo l’età anagrafica dei personaggi principali. Peccato. La stagione è stata una boccata di ossigeno, un tuffo nei ricordi per chi ha avuto 11 anni proprio nel 1996 – come la sottoscritta – e ha potuto rivedersi a quell’età, sorridere e cantare assieme alla meravigliosa colonna sonora composta dalle più belle hit di quella decade, destinate a restare indimenticabili con il passare degli anni.
Simona Grisolia