Non sono in pochi a confonderlo, spesso, con il travagliato Cani arrabbiati messo in piedi nel 1974 dal maestro della paura tricolore Mario Bava.
Ma, se in quel caso avevamo una serrata vicenda on the road interamente ambientata all’interno di un automobile in viaggio con a bordo tre malviventi e i loro ostaggi, in Come cani arrabbiati ci troviamo in tutt’altra tipologia di operazione.
Infatti, sebbene rientrante anch’esso nel filone della delinquenza in fotogrammi in voga nell’Italia degli anni Settanta, il film diretto due anni più tardi da Mario Imperoli risente probabilmente dell’influenza del kubrickiano Arancia meccanica, guardando in maniera evidente, però, all’allora recente fatto di cronaca relativo al delitto del Circeo.
Non a caso, sebbene non dimentichi di tirare in ballo qualche inseguimento automobilistico per cavalcare l’onda del cinema poliziottesco rappresentato dai commissari di ferro dal volto di Maurizio Merli e simili, pone al proprio centro un rappresentante delle forze dell’ordine decisamente meno spaccone e più riflessivo dalle fattezze di Piero Santi, impegnato a dare la caccia ad un giovane del quartiere romano dei Parioli che, interpretato da Cesare Barro e affiancato da due amici nei cui panni troviamo Luis La Torre e Annarita Grapputo, si dedica a rapine, stupri e omicidi ai danni di innocenti.
E, tra uccisioni di prostitute e, addirittura, aggressioni ad omosessuali, se il compianto Quinto Gambi – noto per essere stato sosia e controfigura di Tomas Milian – si rende protagonista di una breve scazzottata consumata in un ristorante, a fare da nome di spicco è una Paola Senatore nel ruolo di una agente sotto copertura generosamente nuda.
Perché non dobbiamo dimenticare che il regista proveniva da titoli piuttosto osé quali La ragazzina e Blue jeans, entrambi appartenenti alla filmografia di Gloria Guida, e che, di conseguenza, anche qui insiste in maniera particolare sull’aspetto erotico, ulteriormente complici la già citata Grapputo pronta a svestirsi più volte e la cruda sequenza in cui Gloria Piedimonte viene spogliata e uccisa a sangue freddo.
Al servizio di uno dei maggiormente invisibili stracult della exploitation nostrana, che, perfino corredato di sottotesto socio-politico suggerito da un proletariato pronto a ribellarsi alla classe superiore qui incastonata nella figura di uno spietato Barro e dalla frase di lancio “Quando muore un assassino non è tempo di lacrime!”, viene finalmente reso disponibile su supporto dvd da CG Entertainment (www.cgentertainment.it) nella collana CineKult; con un’introduzione di sedici minuti a cura del giornalista e critico cinematografico Davide Pulici nella sezione extra.
La stessa CG Entertainment che, a proposito di produzioni made in Italy risalenti agli anni di piombo, in collaborazione con Mustang Entertainment rispolvera su disco anche Il cittadino si ribella, ovvero Il giustiziere della notte secondo Enzo G. Castellari.
Non a caso, fu nel medesimo 1974 in cui furoreggiò sui grandi schermi mondiali il classico di Michael Winner tratto da un romanzo di Brian Garfield che l’autore de La polizia incrimina la legge assolve e Il grande racket sfoderò la vicenda di un Franco Nero che, ingegnere sequestrato nel corso di una rapina in banca e abbandonato dai banditi dopo che lo hanno pestato a sangue, medita vendetta e, avvertita la noncuranza manifestata da parte della polizia nei confronti della sempre più dilagante delinquenza, decide di portare avanti per conto proprio una personale indagine sulle strade di Genova.
Indagine che conduce aiutato da un giovane rapinatore dai connotati di Giancarlo Prete; man mano che, con una Barbara Bach inclusa nel cast come pure il monnezziano Massimo Vanni e Renzo Palmer, l’insieme si distacca dal citato lungometraggio bronsoniano evitando di strutturarsi su una vendetta conseguita all’uccisione di alcuni cari per privilegiare, invece, la progressiva costruzione del rapporto tra i due protagonisti e una lenta evoluzione narrativa che sembra maggiormente rispecchiare quella di Cane di paglia di Sam Peckinpah.
Del resto, mentre qualche veicolo distrutto nel corso di fughe contribuisce a ritmare il tutto, dal cineasta californiano deriva chiaramente anche l’utilizzo del ralenti, che, insieme alla travolgente colonna sonora a firma degli infallibili Guido e Maurizio De Angelis, rientra tra i punti di forza di un autentico western metropolitano.
Aspetto testimoniato, inoltre, dall’atteso scontro finale di quasi un’ora e quaranta di visione che, al di là del genere, intende descrivere una società in cui i bravi cittadini venerano lo Stato come fosse una divinità senza avere, però, nulla in cambio e trovandosi totalmente privi di protezione.