Un piccolo riassunto di Westworld invece noi facciamolo: nel bel mezzo di un party della Delos – la compagnia che ha messo in piedi il parco – e durante il discorso che doveva essere di commiato per un Robert Ford in attesa di pensionamento, i Residenti si ribellano, sull’onda partita proprio da Maeve, che grazie all’aiuto di un mandante misterioso è riuscita a ricalibrare la propria personalità spezzando le catene della sua programmazione in più di un senso.
Ford stesso si prende una bella pistolettata nel cranio, per mano di Dolores; Bernard è scosso dalla scoperta di essere una sorta di replicante di Arnold; Charlotte sta tentando di inviare fuori dal parco, verso chissà chi o cosa, Peter Abernathy o meglio il Residente che è andato in glitch all’inizio della storia, dando il via a tutto.
L’attesa è stata lunga, ancor di più perché quando è stata lanciata Westworld già si sospettava un’opera epocale: certo difficile prevedere che Jonathan Nolan, fratello di Christopher e fido autore delle sue sceneggiature cervellotiche, avrebbe messo su una struttura talmente stratificata e complessa da rivaleggiare con i lavori monumentali dell’altro componente della famiglia.
Ancora più straordinario che questo lavoro sia stato fatto in tv: rivaleggiando quindi con Twin Peaks e Lost, non tanto per sostanza quanto per come questi serial abbiano riscritto la grammatica della serialità in tv, e più a fondo propriamente il modo di mettere in scena una storia, divenendo tutte e tre vere e proprie pietre angolari di scrittura.
Westworld prende le mosse, si sa, dal film di Crichton, riuscendo subito a svincolarsene e a svicolare abilmente, approfondendone aspetti già latenti e inserendo riflessioni filosofiche e psicoanalitiche non certo alla portata di tutti. Ma è proprio questo il bello, del gioco come del serial come del cinema, è questa la potenzialità dell’audiovisivo in genere: raccontare una storia che a seconda da chi viene letta (o guardata) narra cose differenti. E tutte belle.
Dal punto di vista prettamente narrativo, questo inizio di stagione mette tanta carne al fuoco, aprendo tanti quesiti almeno per quante risposte vengono parzialmente date:
spoiler alert!!
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Ora abbiamo un quadro leggermente più chiaro di dove sia situate il parco: come già suggerito ai più smaliziati nel season finale precedente, Westworld si trova quasi sicuramente su un’isola. Grande, enorme, è una delle tante proprietà della compagnia Delos. Che arriva in gran spolvero per risolvere la crisi aperta da Maeve, la seconda a quanto pare: prendendo subito con sé un redivivo Bernard, che sembra senza memoria degli ultimi undici giorni mentre pian piano i ricordi prendono forma, assieme alla presa di coscienza che qualcosa in lui non va. Bernard è un Residente, è chiaro: ma il suo ciclo vitale pare stia per finire. Ma altre domande sono alle porte: qual è la linea narrativa vagheggiata da Ford? È forse proprio la rivolta? Perché sotto ogni calotta cranica dei Residenti è disegnato il Labirinto? Perché Ford sembra rivivere in altri corpi (come quello del bambino che ha un’interessante ed enigmatica conversazione con William, l’Uomo In Nero, il quale stranamente sembra non sorprendersi di ciò)?
Perché proprio ora stanno arrivando gli animali, a Westworld? Un cane vaga tra i cadaveri, un bisonte sta per essere liberato, una tigre anzi la sua carcassa viene ritrovata sulle sponde di un lago. Lo straniamento assale lo spettatore: perché è tutto così perturbante?
Perturbante sembra essere allora la parola chiave di Journey Into Night: viaggiare nella notte, ma una notte metaforica, perché vaga nel buio Bernard che non ricorda cosa sia successo e assistono avvolti nel buio gli spettatori, difronte ad una marea di nuove informazioni e nuovi indizi. Celati sotto forma, si diceva, di particolari perturbanti. “Il Perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”, diceva Sigmund Freud nel suo saggio Il Perturbante, appunto: e das unheimliche è un aggettivo sostantivato della lingua tedesca utilizzato dallo psicoanalista per esprimere in ambito estetico la particolare attitudine del sentimento più generico della paura, che si sviluppa quando una cosa (o una persona, un fatto, un cane o una tigre) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, provocando un’angoscia irrisolta unita ad una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità.
Non è delineato così, perfettamente, lo stato d’animo che assale mentre si guarda Westworld? Che continua a battere su Freud: e dopo la mente bicamerale, mette in campo il perturbante per approfondire il suo discorso, mai banale né scontato, sempre affascinante quanto sinuoso, sulla Coscienza, sul senso del Reale, sul significato di Ricordo.
“Cos’è reale?”, chiede Dolores, in apertura, “Tutto ciò che è insostituibile”, risponde quello che non sappiamo se essere Bernard o Arnold, in uno splendido twist metaforico e narrativo: chiedere cosa sia reale a chi non sappiamo se è reale.
Probabilmente è questo il nuovo livello di narrazione per Nolan: che, come suo solito, sbriciola le coordinate logiche, temporali e spaziali (ma chi ha visto Memento ormai è abituato) per tentare di riassemblarle insieme ai suoi personaggi e al suo pubblico, ricomponendo il puzzle dell’esistenza cercando così di darle un senso.
Ed è questa la Porta – della conoscenza – che siamo chiamati a cercare, insieme a William: all’uscita del Labirinto non c’è un’uscita ma un’entrata, e pare proprio che insieme all’Uomo In Nero stiamo per entrare nel vivo del racconto, un racconto del quale pare avevamo solo scalfito la cima.
I nuovi misteri portano dritti a nuovi interrogativi che sfumano tra la filosofia e la psicoanalisi: mentre il labirinto, ora è chiaro a tutti, dall’essere un concetto metafisico (il percorso che i Residenti, secondo Arnold, avrebbero dovuto compiere per arrivare all’autocoscienza) è passato ad essere un luogo reale (Westworld cela passaggi segreti e addirittura droni offline dall’inquietante aspetto amorfo), Westworld è passato dall’essere una promessa suggerita ad essere una promessa mantenuta.
In attesa di trovare Peter Abernathy.
GianLorenzo Franzì