Argomento spinoso quello scelto da Berardo Carboni per Youtopia, suo primo film di finzione. Non tanto per la valenza morale di un’opera che, di fronte a una cronaca che, negli ultimi anni, ci ha abituati decisamente al peggio, non scandalizza neanche più di tanto, quanto per i rischi che qualsiasi rappresentazione di un mondo cangiante e difficilmente filmabile come il web 2.0 porta con sé. L’autore aggira abilmente l’ostacolo evitando di addentrarsi troppo nelle dinamiche legate all’interattività in senso stretto e utilizzando piuttosto internet come mezzo utile alla dimostrazione di una tesi. Che, nello specifico, ha più a che fare con l’analisi sociologica che non con la tecnologia. La domanda, sebbene di attualità sconcertante, è infatti la più vecchia del mondo. Ci si chiede, in sostanza, fino a dove si sia disposti a spingersi per denaro.
Carboni tenta di rispondere ponendosi come osservatore non giudicante, il che connota Youtopia, fin da subito, come una variante informatica dei fratelli Dardenne, con tutto ciò che ne consegue in termini di difficoltà economiche alla base delle scelte della giovane protagonista. Tale impronta, se, da un lato, allontana dallo spettatore qualsiasi tentazione di condanna morale, dall’altro costringe il film a una struttura dicotomica che, contrapponendo l’agiatezza borghese della perversione alla miseria di chi, a quella stessa perversione, decide giocoforza di soggiacere, ne limita il campo d’azione alla più classica delle dinamiche tra cacciatore (il laido personaggio interpretato da Alessandro Haber) e preda (Matilda De Angelis). Ora, chi bazzichi anche un minimo l’universo giovanile sa benissimo che gli equilibri in gioco non sono mai in realtà così rigidi e la leggerezza con cui oggi ci si mostra o, peggio, ci si vende non ha sempre a che fare con il reale bisogno economico, quanto con una diversa coscienza di ciò che è lecito e, soprattutto, con un rapporto radicalmente mutato del singolo con il proprio corpo. In estrema sintesi, nella vita reale, una distinzione tra cacciatore e preda è affare ben più arduo. La medesima rigidità viene utilizzata poi nel contrapporre il sito dove Matilda si mostra per soldi alla realtà virtuale in cui si rifugia e nella quale, forse, trova addirittura l’amore.
Leggere poi, tra gli autori della sceneggiatura, il nome del giornalista de Le iene Dino Giarrusso – di recente candidato alle elezioni tra le fila del Movimento 5 Stelle – in qualche modo spiega certo manicheismo alla base di un film che, per fortuna, riesce a smarcarsi in altri modi da un rischio ben peggiore di quello rappresentato dalla scarsa “filmabilità” del web di cui parlavamo all’inizio, ossia quello della banalità. Lo fa attraverso una regia secca, attenta a mostrare prima ancora che a spiegare, e un montaggio alternato dei due mondi che, sappiamo benissimo, a un certo punto entreranno in collisione. E non ci sono solo il viscido Ernesto e la “Cenerentola sporca” Matilda ma, tra le pieghe del racconto, emerge un’intera umanità disposta a tutto pur di raggiungere uno scopo. C’è, ovviamente, la madre di Matilda, Laura (Donatella Finocchiaro), che si rassegna quasi subito all’idea che la sola cosa di valora di cui è in possesso sia la verginità della figlia. Ma ancor più interessanti sono i due personaggi forse meno sviluppati del racconto, ossia la moglie di Ernesto, rassegnata alle perversioni del marito in nome della conservazione di un status socioeconomico e splendidamente interpretata da Pamela Villoresi, e il giovane farmacista che, nella speranza di un contratto a tempo indeterminato, introduce alla conoscenza del Deep Web (l’insieme delle risorse informative del World Wide Web non indicizzate dai normali motori di ricerca) Ernesto, pur capendo benissimo come quest’ultimo finirà per utilizzarlo. Ecco, se ci si concentra sui volti, evitando magari di pensare troppo ai loro corrispettivi reali, Youtopia è una moderna favola nera – dal finale ancora più nero – non priva di fascino, che lascia ben sperare per il futuro del regista di Shooting Silvio.