Attore prima che regista, Albert Dupontel è interprete capace di riempire lo schermo con una faccia d’altri tempi. Forte di un’espressività da cinema muto, Dupontel sulla scena del suo nuovo film assolve a una duplice funzione. Per un verso è infatti uno dei personaggi principali de Au revoir là-haut, ovvero Edouard, compagno d’armi di Albert, artista geniale ma incompreso; per l’altro, il narratore delle vicende atte a ricostruire cosa è successo a lui e all’amico dopo la fine del primo conflitto mondiale (quando quest’ultimo, sfigurato per l’esplosione di un ordino, si costringe a una vita da recluso). Regista della storia dietro e davanti la macchina da presa, Dupontel a dispetto del tratto un po’ dimesso di Edouard – disposto a vivere nell’ombra pur di aiutare Albert a riscattarsi dalle proprie sventure – e di una fisiognomica da caratterista, riesce suo malgrado a ritagliarsi un ruolo centrale per la bontà d’animo e il romanticismo che riesce a infondere al suo carattere.
Facendo della Parigi degli anni ’20 e della variopinta umanità che la abita il riflesso dell’intrepida fantasia dei protagonisti, Au revoir là-haut ha nella forma favolistica e nel tratteggio caricaturale delle figure uno spessore semantico in grado di fronteggiare i grandi temi dell’esistenza facendone uno spettacolo che, comunque, non svilisce l’importanza della posta in palio. In questa maniera, il dramma della guerra, la generosità dell’amicizia e dell’amore ma anche la funzione catartica dell’arte incarnano, nelle mani di Dupontel, un caleidoscopio visivo dove, come nelle fiabe, tutto diventa possibile. Au revoir là-hau ci riesce mescolando luoghi e narrazioni tipiche del cinema classico – e ci riferiamo, per esempio, alla suddivisione netta tra buoni e cattivi e al modo con cui essi si confrontano – con il gusto postmoderno per la composizione delle immagini, dentro le quali è possibile ritrovare contaminazioni estetiche (da Jean-Pierre Jeunet a Wes Anderson) e formali di altri film.
Se l’apertura, con il piano sequenza ambientato nelle trincee e poi sulla piana di Verdun, è più un pezzo di virtuosismo che una vera invenzione cinematografica, a colpire è soprattutto la capacità di Au revoir là-haut di rubare spazio alla propria grandeur per aprire un filo intimo e diretto con il cuore dello spettaotore. Pensiamo a certe immagini di Chaplin, presente ogni volta in cui il film torna sulla storia d’amore tra Edouard e la cameriera interpretata da Melanie Laurent; oppure all’iconografia delle maschere indossate da Albert per cancellare la sua mostruosità che, insieme alla reclusione alla quale si costringe e alla vendetta messa in atto nei confronti del responsabile delle sua tragedia, porta dritti alle tante versioni filmate de Il fantasma dell’opera. Tratto dall’omonimo romanzo di Pierre Lemaitre, premio Goncourt 2013, Au revoir là–haut ha fatto vincere il Cesar per la migliore regia a Dupontel: speriamo che la partecipazione al Rendez vous 2018 convinca i distributori italiani a portarlo nel nostro paese. Ne varrebbe davvero la pena.