Reviews

Icaros: A Vision, la nostra ricchezza è nella conquista delle nostre paure

Film assai suggestivo, Icaros: A Vision di Leonor Caraballo e Matteo Norzi, caratterizzato da una delicatezza, una pacatezza e un silenzio che inducono a guardarci dentro e scavarci a fondo, ci invita animatamente a entrare in contatto con la nostra natura e prendercene cura

Published

on

Icaros: A Vision, come suggerisce il titolo, non è un film ma una visione, evocata dal canto delle piante – icaros – capace non soltanto di curare malattie e stati mentali e fisici che ci fanno stare male, ma anche di vedere, attraverso l’ascolto della Natura, il nostro domani. È l’udito dello spettatore ad essere rapito sin dalle primissime scene, ambientate, come tutto il film, nella giungla amazzonica, in Perù. Sapientemente curati da Tom Paul (sound design e mix) e da Jess Peterson e Martin Hernandez (sound editors), i suoni della Natura pervadono l’intera narrazione e si mescolano, a tratti, con gli squarci di un mondo civilizzato da cui arriva Angelina (Anna Cecilia Stieglitz), la protagonista, alla ricerca di un rimedio per il male che la affligge.

Scritto a sei mani da Leonor Caraballo e Matteo Norzi, anche registi del film, e dal produttore Abou Farman, la storia fa riferimento all’esperienza che la stessa Caraballo aveva avuto esplorando i rimedi delle piante medicinali in Amazzonia; evocatrici di immagini e allucinazioni, le piante possono aiutarci ad approfondire la conoscenza del nostro mondo interiore e, attraverso il dolore provocato dalle visioni che suscitano, guidarci alla conquista dell’equilibrio del corpo e della mente.

L’artista, malata di cancro al seno (a cui Icaros: A Vision fa più volte riferimento), è morta del 2015 prima che il film fosse terminato. La sua esperienza è stata affidata alla protagonista, Angelina, personaggio di finzione che si reca in un luogo vero, il ritiro nella foresta chiamato Anaconda Cosmica, sperando di trovare una via per affrontare il cancro. Completamente immersa in un viaggio sensoriale, fatto di visioni e suoni evocati dalla natura circostante, Angelina vive il suo dramma e quello degli altri passeggeri, affetti da problemi di diversa natura – la dipendenza da droghe, oppure il balbettio da correggere che ha portato in quello stesso ritiro un attore italiano, interpretato da Filippo Timi.

A sollecitare le visioni notturne dei passeggeri, somministrando la bevanda a base di foglie di ayahuasca, ci sono Arturo Izquierdo, aiutante dello sciamano anziano Guillermo Arevalo, entrambi nel ruolo di loro stessi (come tutto lo staff del rifugio). Arturo e Angelina si avvicinano quando lui scopre di avere una malattia degenerativa che lo porterà alla cecità. Angelina e Arturo, alle prese tutti e due con il susto, “la malattia della paura che gonfia lo stomaco come aria fredda e influenza i pensieri”, proveranno a conquistare quella paura per un futuro tragico che sembra già segnato per entrambi, e a farne una ricchezza per continuare a vivere.

Uno è quello che nella vita ha ascoltato”: tutto nelle nostre esistenze, se affrontato ed elaborato, costituisce una potente ricchezza; se ascoltiamo la nostra natura avremo la fortuna di intuire il nostro futuro, come fanno i pesci quando anticipano il diluvio. E più ci conosciamo a fondo, fin nelle nostre ferite più dolorose, più saremo capaci di affrontare quello che ci aspetta con la giusta distanza, vivendo le nostre nature individuali in armonia con una madre Natura molto più grande.

Film suggestivo, grazie anche alla ricchezza della fotografia dell’iraniano Ghasen Ebrahimain, Icaros: A Vision, caratterizzato da una delicatezza, una pacatezza e un silenzio che invitano a guardarci dentro e scavarci a fondo, in realtà ci grida ad alta voce di entrare a contatto con la nostra natura e prendercene cura. Solo così il viaggio, breve o lungo che sia, varrà veramente la pena.

Commenta
Exit mobile version