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Quanto basta di Francesco Falaschi: una commedia che parla della sindrome di Asperger senza cadere nello stereotipo

Con Quanto basta, Falaschi non cade nelle sabbie mobili del buonismo a buon mercato, al contrario utilizza lo humour e il cinismo per stemperare nella giusta misura le dinamiche di incontro/scontro tra i personaggi

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Purché se ne parli, ha detto una volta un saggio per affermare con decisione che l’importante non è come e quando si parla di un dato argomento, ma che se ne parli in generale, così da impedire che questo vada a finire nel dimenticatoio. In tal senso, nei decenni la Settima Arte ha detto e mostrato molto riguardo all’autismo e più nello specifico alla sindrome di Asperger, con tutta una serie di cineasti che a diverse latitudini si sono confrontati con la materia in questione. Il risultato è una filmografia vastissima che, negli ultimi anni, ha visto l’argomento al centro di una notevole attenzione dal punto di vista produttivo. Ciò da una parte è stato un bene, ma dall’altro no, poiché la tendenza largamente diffusa è quella di fare di tutta un’erba un fascio, quanto basta per  accomunare e associare tali disturbi solo perché aventi molti tratti in comune, ma ciò non significa che siano la stessa cosa solo perché facenti parte del medesimo spettro patologico e imparentati sulla carta. Di conseguenza, proprio per non commettere lo stesso errore, non staremo qui a sciorinare l’ennesima lista di titoli più o meno degni di nota, ma ci limiteremo a concentrare la nostra analisi su un film che tratta della sindrome di Asperger e che farà la sua apparizione nelle sale nostrane a partire dal 5 aprile, non prima del passaggio in anteprima alla decima edizione della kermesse torinese Cineautismo.

La pellicola in questione è Quanto basta, opera quarta di Francesco Falaschi, che ci conduce per mano al seguito di Arturo, uno chef talentuoso incarcerato per rissa che deve scontare la pena presso i servizi sociali, tenendo un corso di cucina in un centro per ragazzi autistici. Guido, uno dei ragazzi del centro, è affetto proprio dalla sindrome di Asperger e possiede una grande passione per la cucina. L’improbabile amicizia tra i due aiuterà Arturo a cambiare vita e a Guido a coltivare il suo più grande sogno.

Lo script non ha nella propria ricetta narrativa e drammaturgica evidenti tratti di originalità e la sinossi lo sottolinea in maniera piuttosto evidente, poiché percorre delle strade già ampiamente battute in passato e dalle quali, vista la mole di pellicole realizzate sul tema, era anche difficile distaccarsi. Un limite, questo, da tenere in considerazione in fase analitica, ma da considerarsi fisiologico. Troppe le pietre di paragone, di conseguenza era davvero alta la percentuale di rischio di replicare uno schema narrativo e delle one lines già ampiamente sfruttate e dalle platee codificate. Il déjà vu rispetto a certi passaggi e scene è inevitabile ed è ciò che accade al cospetto di alcuni momenti di Quanto basta.

Per cui i motivi di interesse nei confronti del film di Falaschi andavano cercati da altre parti e così abbiamo fatto. Puntando la lente d’ingrandimento sullo schermo, salta all’occhio la capacità di approcciarsi a un tema, a una storia e a personaggi comuni a tante altre operazioni analoghe, con quel mix equilibrato di serietà e ironia che solo la dramedy scritta con attenzione, rispetto, garbo e intelligenza, sa trasmettere allo spettatore di turno. Con Quanto basta, Falaschi non cade nelle sabbie mobili del buonismo a buon mercato, al contrario utilizza lo humour e il cinismo per stemperare nella giusta misura le dinamiche di incontro/scontro tra i personaggi, in particolare quelle tra Arturo e di Guido. Ciò ha donato al racconto e a chi lo ha animato sul grande schermo quell’umanità, quella verità e quell’autoironia che servono a non cavalcare la facile via dello stereotipo quando si parla di malattia. Nonostante sia ormai noto che tali disturbi dello spettro autistico, compreso l’Asperger, non comportino alcun deficit cognitivo, il cinema ha molte volte alimentato, proprio a causa della superficialità con cui gli autori si sono rapportati al tema per spettacolarizzarlo, un grande e paradossale equivoco che vuole il personaggio di turno dotato di capacità intellettive al limite – se non al di sopra – del sovrannaturale. Da questo equivoco, più o meno diffuso su larga scala, è nata una serie di figure alla Raymond Babbitt di Rain Man, tanto per fare un nome tra i tanti, che cinematograficamente hanno un motivo di esistere, ma scientificamente sono lontani dalla realtà.

Per fortuna, il regista ha lasciato fuori da questa galleria il personaggio affetto da Asperger, lavorando nello specifico sulla parte dialogica e sulla direzione degli attori, chiamati in causa per non cadere nella macchietta e nello stereotipo, a cominciare da Luigi Fedele che nell’interpretare Guido non scimmiotta mai quello che siamo abituati a vedere sul grande e piccolo schermo quando si tratta di autismo. Allo stesso modo, un plauso va anche a Vinicio Marchioni che nei panni di Arturo ci mostra ancora una volta la sua straordinaria versatilità e capacità di plasmarsi a seconda dei personaggi e delle storie che si trova ad affrontare.

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  • Anno: 2018
  • Durata: 92'
  • Distribuzione: Notorious Pictures
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Francesco Falaschi
  • Data di uscita: 05-April-2018