Per cominciare a parlare dell’ultimo, intenso e poetico film di Robert Guédiguian, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese, da sempre apertamente schierato politicamente, probabilmente la cosa più opportuna da fare è partire da un dettaglio che rivela l’essenza di un atteggiamento meravigliosamente dissidente: ne La casa sul mare si fuma, finalmente. Guédiguian, contestando con dispettoso piglio la dittatura del salutismo contemporaneo, imposto dalla logica delirante di una vita totalmente immunizzata (cfr. in tal senso Comunità, Immunità e Biopolitica di Roberto Esposito), si trastulla (e gliene siamo assai grati), realizzando alcune sequenze in cui tutti i personaggi all’interno dell’inquadratura s’intrattengono col tabacco. Inizia uno, poi un altro chiede una sigaretta, poi un terzo e un altro ancora. È tutto un appicciare che, metaforicamente, assume la valenza di una ripresa di vitalità, di un riaccendersi delle passioni, in controtendenza rispetto al nichilismo contemporaneo, anzi l’ultima fase di esso, quella che Nietzsche definiva ‘volontà di non volere’. Ci si deve sporcare le mani, non cedere all’apatia che conduce a un solipsismo auto celebrativo, inaridente, sterile.
In una pittoresca villa affacciata sul mare di Marsiglia tre fratelli (i bravissimi, e sempre presenti nel cinema del regista francese, Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan) si ritrovano attorno all’anziano padre, colpito da un male che lo ha reso un vegetale: Angela fa l’attrice e si è trasferita a Parigi, Joseph è un aspirante scrittore innamorato di una ragazza che ha la metà dei suoi anni, e Armand, l’unico a vivere ancora in paese, gestisce il piccolo ristorante di famiglia. Il tempo passato insieme è l’occasione per fare un bilancio, tra ideali ed emozioni, aspirazioni e nostalgie. Finché un arrivo imprevisto, dal mare, porterà scompiglio nelle vite di tutti.
Guédiguian, che ha sceneggiato la storia insieme all’autore teatrale Serge Valletti, dà inizio al film con una sorta di amarcord, attraverso cui rievoca, almeno in parte, una stagione politica definitivamente esaurita. Viene voglia di storcere il naso, laddove sembrerebbe che la narrazione si accartocci in una vacua nostalgia per un mondo e un linguaggio da tempo svaniti. L’incontro tra i fratelli, invece, costituisce lo spunto per innescare una riflessione sullo stato attuale degli ideali della sinistra: ma tutto è cambiato, e allora si tratta di trasformare il linguaggio, cambiare le parole d’ordine, torcere lo sguardo, in direzione di nuovi, possibili orizzonti di comprensione. Ma bisogna, ancora una volta, partire dalla pratica, la quale – è noto – informa la teoria; regredire a un’afasia che consenta di sprofondare nelle situazioni concrete, da cui poi riemergere con strumenti che permettano una rinnovata lettura della realtà. I protagonisti sono persone di mezza età che hanno ormai compreso il senso delle proprie vite, ma, come quasi sempre accade, a questo punto vorrebbero tirare i remi in barca, defilarsi stancamente. E invece no: Guédiguian architetta l’incontro inaspettato con tre ragazzini, immigrati clandestini, miracolosamente scampati a un naufragio.
Al netto della retorica dell’accoglienza indiscriminata, spesso sventolata dalla sinistra, senza fornire un’interpretazione politica forte, La casa sul mare, così come in Miracolo a Le Havre e L’altro volto della speranza di Aki Kaurismäki, mostra l’umanità indifesa di chi, fuggendo da carestie e guerre, cerca un luogo in cui poter condurre un’esistenza sostenibile. I tre ragazzini appena sbarcati, due bambini che, teneramente, non smettono mai di tenersi la mano, e una sorella poco più grande che gli fa da madre, incarnano il futuro di un mondo, il nostro, ormai al collasso. Il loro arrivo, dunque, non deve essere considerato un’invasione da respingere, quanto, piuttosto, un’opportunità di rigenerazione per un Occidente sempre più anziano, decrepito, volto al tramonto. Un tramontare che non è necessariamente una disfatta, ma – ancora una volta in una prospettiva nietzschiana – il possibile delinearsi di un nuovo inizio. Senza dimenticare che, pure in una concretissima visione materialista, non può essere trascurata l’esigenza di rimpinguare la sempre più esigua forza lavoro richiesta dal mercato.
Ma a fare la differenza, lo ripetiamo, nel film di Guédiguian, è l’aver mostrato un incontro, e, dunque, la relazione che ne scaturisce. Un conto è accostarsi alla questione dei flussi migratori attraverso la miserabile e asettica cronaca quotidiana dei mezzi di informazione, un altro, invece, è trovarsi di fronte il volto dell’altro, il quale, ricordando la lezione di Emmanuel Lévinas, ci convoca a fornire un’accoglienza infinita, ad assumerci una responsabilità infinita. La casa sul mare dischiude una potente suggestione – la sequenza finale, che non sveliamo, è davvero poetica – senza fornire risposte, bensì convocandoci ad affrontare alcuni attualissimi temi da una posizione ravvicinata, la quale comporta un coinvolgimento etico che non può essere in nessun modo disatteso. L’economia, la politica, certo; ma poi, soprattutto e ancora una volta, l’etica.
La casa sul mare sarà nelle sale italiane a partire dal 12 Aprile, distribuito da Parthénos.