I Am Not a Witch è il primo lungometraggio della regista zambiana Rungano Nyoni che racconta la tragica storia di una bambina di nome Shula, senza famiglia che vaga in un villaggio e viene accusata di essere una strega, presentato in concorso al 28° Festival del Cinema africano, Asia e America Latina in prima italiana.
Lo sguardo della regista mette al centro della scena la bambina che diventa oggetto/soggetto di una società tribale basata ancora sulle suggestioni ancestrali e credenze arcaiche, usate dal governo, rappresentato da un funzionario che utilizza commercialmente non solo la bambina, ma un intero gruppo di donne schiavizzate per lavori agricoli a cottimo o come attrazione turistica. Le cosiddette “streghe di governo” diventano così l’emblema dello sfruttamento culturale per interessi economici.
Quello che viene messo in scena è una rappresentazione di una situazione in cui la condizione femminile ricopre posizioni di potere matriarcale – vedasi la regina della comunità dove vive il gruppo di “streghe” – ma allo stesso tempo è soggiogata da una società retrograda dove la tradizione basata su superstizioni diventa persino esercizio della legge con la costituzione di tribunali dove il colpevole viene individuato dalla giovane Shula. La stregoneria è la metafora della povertà e del blocco sociale, il marchio che identifica i soggetti più deboli e più facilmente da colpire, indentificati come corpi – fisici e spirituali – trasformati in veri e propri capri espiatori delle paure e dei pregiudizi delle comunità agricole.
I Am Not a Witch diviene così una narrazione di un sistema-paese, una finestra su un mondo lontano e sconosciuto, dove l’occidentale – rappresentato dai turisti inglesi portati in tour in visita alle streghe – vede tutto in modo superficiale, affascinati dal folclore locale, in un rapporto colpevole di cecità delle condizioni reali, senza capire, ignoranti essi stessi.
La Rungano Nyoni utilizza la macchina cinema per mostrare un lato oscuro del proprio paese, e la storia di Shula è una grande allegoria di una situazione di arretratezza culturale e di subordinazione dove la globalizzazione economica convive con regole tribali cristallizzate. Del resto, le donne sono letteralmente legate con un lungo nastro, come costrette a un guinzaglio, espediente visivo per mostrare come un intero paese sia soggiogato alla periferia del mondo.
Il linguaggio cinematografico di Rungano Nyomi è basico, fatto di scene episodiche legate una all’altra, a tratti in modo molto naif, immerso in un paesaggio assolato e desertico dove i personaggi si muovono come appendici isolate e solitarie, anche se con idee visive e guizzi di messa in quadro originali, che alternano primi piani di Shula con i campi lunghi della scenografia naturale e selvggia, che creano un certo fascino, così come il finale dove la via della libertà della ragazzina la porta a una tragica fine inevitabile e prevedibile.
I Am Not a Witch è una testimonianza di un cinema africano debitore e legato al sostegno industriale europeo per un cinema asistemico, composto da singole voci che con coraggio cercano di creare un discorso sul proprio paese e sulla condizione femminile che attraversi i confini geografici.