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The box

«”The Box” rafforza la candidatura del regista di “Donnie Darko” (2001), Richard Kelly, ad aspirante ‘run for cover’ del maestro e modello David Lynch».

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Radiazioni BX: Distruzione Uomo (1957), L’Ultimo Uomo sulla Terra (1963), L’Uomo dalle Due Ombre (1970), 1975 Occhi Bianchi sul Pianeta Terra (1971), Duel (1973), Echi Mortali (1999). Ce n’è per tutti i gusti: abbastanza storia della settima arte affinchè gli appassionati di fantascienza e dintorni non si lascino sfuggire l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Richard Kelly, tratta, come i film citati in apertura, dall’opera letteraria di Richard Matheson, indiscusso maestro della letteratura di genere americana e fonte d’ispirazione sempre verde per il cinema statunitense.

The Box rafforza la candidatura del regista di Donnie Darko (2001) ad aspirante ‘run for cover’ del maestro e modello David Lynch, mostrandocelo ancora una volta per quello che è: autore tutt’ora acerbo, comunque riconoscibile, e per questo non privo di fascino, nel suo impegnato affannarsi alla ricerca di un punto di equilibrio tra presuntuosa incomunicabilità e desiderio latente di entrare definitivamente nelle grazie del grande pubblico. Di buono c’è che il disastro di critica e botteghino di nome Southland Tales (2006) appaia, ormai, come un lontano ricordo. Al suo posto una prova registica quadrata e coesa, attraversata dalle consuete bizzarrie prossime all’involontaria autoironia, in questo caso sfacciatamente debitrici nei confronti di Terrore dallo Spazio Profondo.

Kelly lavora con personalità e cervello sull’asciutta sintesi della matrice novellistica, scava tra le righe e attraverso le pause della punteggiatura, al fine di appropriarsi del significato stesso dell’originale. Sua l’idea di aggiungere alla diade cartacea marito-moglie la figura chiave del figlio, di fatto assente nel racconto “Button, Button”. Altrettanto personale la scelta di abbandonare sceneggiatura e macchina da presa attraverso inesplorati territori narrativi, sospesi a metà tra presenze aliene e federali esperimenti socio comportamentali. Kelly non sa che farsene del ritmo e della geometria tipica del genere, tanto che alla classificazione cinematografica continua a preferire, qualche volta a torto, le improvvise inquietudini visive: siano esse un flash luminoso, uno sconosciuto alla finestra o la sala lettura di una biblioteca satura di menti lobotomizzate. Impossibile non riconoscergli una sapiente capacità di costruzione della suspense, così come un’innegabile maestria e gusto nel trattare l’obiettivo; è altrettanto giusto, però, sottolineare, ancora una volta, l’ingiustificabile desiderio di aggiungere e stupire comunque (vedi le citazioni di Sartre, quanto meno fuori luogo). Anche quando lo spettatore non ne sente assolutamente la necessità.

Luca Lombardini

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