FESTIVAL DI CINEMA

Terza giornata di Sguardi Altrove Film Festival: dal cinema bulgaro femminile agli uffici di Napoli

Nella terza giornata del Festival Sguardi Altrove si è dato spazio alla Bulgaria, a cui è dedicato il focus di quest’anno, e al suo cinema femminile, con due dei sei film proposti nell’intera rassegna: Divorce Albanyan Style di Adela Peeva e Voevoda di Zornitsa Sophia

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Nella terza giornata del Festival Sguardi Altrove si è dato spazio alla Bulgaria, a cui è dedicato il focus di quest’anno, e al suo cinema femminile, con due dei sei film proposti nell’intera rassegna: Divorce Albanyan Style di Adela Peeva e Voevoda di Zornitsa Sophia. Le due registe, la prima molto affermata, la seconda, piuttosto giovane e ancora meno conosciuta, sono state presenti anche alla tavola rotonda del pomeriggio (Il cinema dell’Europa dell’Est. Finestra sulla Bulgaria), ospitata dalla sede milanese del Parlamento Europeo. In realtà, ha spiegato Patrizia Rappazzo, la direttrice artistica del Festival, si voleva dedicare il focus a tutto il cinema dell’Est europeo e si è pensato solo in un secondo momento di privilegiare la Bulgaria, in omaggio alla sua presidenza dell’Unione.

Adela Peeva ha descritto il suo progetto Woman Film Directors in the Bulgarian Cinema, un luogo virtuale che raccoglie le opere delle registe bulgare, per ora solo una trentina, con tutti i materiali relativi, dalle biografie alle interviste, dai premi alle filmografie. Per valorizzare e promuovere un lavoro poco conosciuto, nonostante ci siano registe con grande talento e i film di successo in Bulgaria siano soprattutto di donne. Messe in ombra dal cinema maschile, però, nella distribuzione, nei festival, e nei circuiti più internazionali.

Anche il critico Nicola Falcinella, che ha presentato la sera i film delle due registe, sostiene che il cinema bulgaro femminile non è stato finora valorizzato come merita, se pure ultimamente qualcosa per fortuna sta cambiando. Ha citato Kristina Grozeva, che conosciamo per The lesson e Gory-non c’è spazio per gli onesti, e ci ha interessato con una breve storia del cinema bulgaro al femminile. Forse conosciuto meno di quello degli altri paesi dell’Est perché non ha avuto finora una figura di spicco, un’icona con forte risonanza, anche se le registe che lavorano lì sono molto significative. Ma già la segnalazione di The lesson al premio Lux del 2015 e soprattutto il Pardo l’Oro del 2016 a Ralitza Petrova con il suo Godless (che chiuderà Sguardi Altrove la sera del 18 marzo) non sono traguardi trascurabili.

Qualcosa sta progredendo anche nel consumo di cinema in Bulgaria: ce lo dicono i dati illustrati da Elisabetta Brunella, Segretaria Generale Media Salles, che illustrano una fruizione e un mercato in crescita, sia come numero di schermi che di spettatori, auspicando investimenti nelle medie e piccole città; augurio valido per la Bulgaria, ma per l’Europa tutta.

Spesso le storie di queste autrici non possono prescindere dalle ferite ancora aperte dei regimi totalitari. Per Divorce Albanyan StyleAdela Peeva si sposta in Albania e racconta le separazioni forzate di coppie in cui i mariti albanesi avevano sposato donne straniere prima che il loro paese divorziasse dall’Unione Sovietica (1961). Nel delirio autarchico di Enver Hoxha si pretese che bisognasse divorziare anche dalle straniere e che venissero rispedite nei loro luoghi d’origine. E così fu, tranne per coloro che si rifiutarono e furono accusati di spionaggio, bollati come nemici del popolo e imprigionati. Tre le storie raccontate: una coppia che si riunisce dopo anni di carcere, un’altra che non può perché lei è disfatta dalle droghe somministrate durante la prigionia, è tornata in Polonia grazie al governo polacco e non vuole tornare indietro. La più triste è quella della russa Voila Sharanova condannata a 10 anni di reclusione. Struggente la sua testimonianza quando racconta che il giorno in cui la portarono via, dal lavoro, passarono davanti a casa sua e, vedendo i panni stesi, si chiese se fossero asciutti e se avesse lasciato ai figli abbastanza cibo pronto per quel giorno. Il marito si è risposato, della figlia femmina non ha saputo più nulla e il figlio maschio, per poter continuare a studiare e avere una vita normale, l’ha praticamente ripudiata. Chissà se Voila è ancora viva! Il documentario (del 2007) la riprende con la sola compagnia di un cane, in Russia, dopo tentativi non perfettamente riusciti di stabilire una relazione con il figlio.
Compaiono anche tre persone orrende, funzionari degli organi di inchiesta, due uomini e una donna, di quelli che ubbidivano agli ordini, che non solo non hanno nessuna intenzione di chiedere scusa, ma hanno vissuto per il resto una vita normale.

Tutt’altro ritmo, tutt’altra storia il film in concorso (Nuovi Sguardi): Aperti al pubblico di Silvia Bellotti, un documentario girato a Napoli dentro gli uffici dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari. Detto così sembrerebbe poco interessante e invece Silvia Bellotti e la sua macchina da presa aprono un mondo, in cui la pazienza (e l’impazienza a tratti) degli impiegati si intrecciano alle storie di ordinaria follia del pubblico, dalle otto alle tredici, due giorni la settimana. Qui vengono gestiti quarantamila alloggi in carte, cartellette, faldoni (e la digitalizzazione dove sta?); qui non è contemplata la privacy, in stanze con più tavoli dove si sente tutto; qui gli impiegati parlano il linguaggio della burocrazia e gli utenti un napoletano stretto che non vuole sentire ragioni. Tutti hanno la precedenza per problemi familiari e di fatto nessuno ce l’ha. Bravissima l’autrice a farci sentire lì, tra i malcapitati, mentre ciascuno si costruisce un palcoscenico su cui recita, accorata, la propria vita, con un volume e una lingua che ci catturano. Splendida la figura della donna indiana che con una determinazione tutta orientale invece la spunta, adocchiando tra gli impiegati chi prenderà a cuore la sua pratica, e senza tanto clamore, riesce ad ottenere i lavori di ristrutturazione del suo appartamento. L’applauso, a fine proiezione, è sincero, perché il pubblico ha partecipato ma si è anche divertito, grazie alla performance degli attori inconsapevoli nel teatro improvvisato e insolito che a volte la vita ci sa regalare.

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