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Cinema Novo di Eryk Rocha: non solo una preziosa testimonianza, ma anche un appello alle nuove generazioni di cineasti

Cinema Novo non può essere considerato solo la celebrazione commossa di una corrente artistica importantissima, che si generò a partire dalla lezione del Neorealismo italiano (Rossellini) e del grande Cinema Russo (Ėjzenštejn), quanto piuttosto, e soprattutto, un accorato appello alle nuove generazioni di cineasti a non lasciarsi sedare, e a fare proprio quello spirito di denuncia e della rappresentazione veritiera della realtà in grado di rendere ancora una volta la Settima Arte necessaria

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Si comincia con alcune sublimi, forsennate corse, seguite da coraggiose macchine da presa fissate su carrelli in rapido movimento: Eryk Rocha, figlio di Glauber, non cincischia, fornendo immediatamente allo spettatore l’essenza di quello che fu un movimento cinematografico stupefacente, il quale, in controtendenza rispetto all’acquiescenza delle pellicole importate dagli USA, si pose l’obiettivo, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, di immergersi nella realtà culturale, politica ed economica del Brasile, per risvegliare le coscienze e stimolare l’utilizzo di un lucido spirito critico, in grado di cogliere la condizione di un paese attraversato da varie e profondissime contraddizioni.

Cinema novo: questo è il nome della Nouvelle Vague brasiliana, cui Rocha rende un doveroso omaggio con un film che non costituisce solo una preziosa testimonianza, ma fornisce l’occasione per fare esperienza della capacità inesauribile del cinema di generare immagini che, ogni volta, nonostante appartengano al passato, riescono a liberare una selva di significanti miracolosamente scampati alla colonizzazione dei significati. Saltellando tra le sequenze dei meravigliosi film di Glauber Rocha, Nelson Pereira dos Santos, Joaquim Pedro de Andrade, Ruy Guerra, Carlos Diegues, Leon Hirszman, Walter Lima Jr. e Humberto Mauro, non solo si ritorna a un preciso momento storico, con le sue specifiche caratteristiche, ma si coglie chiaramente un portentoso afflato poetico che non ha mai smesso di ammantare quel cinema libero, ancora meravigliosamente vivo, pulsante, grondante potenza, energia, sfuggito alla cattura di un ordine simbolico decrepito e fasullo. Era una propulsione rivoluzionaria quella che indusse tanti giovani e brillanti cineasti a fondare un Manifesto attraverso cui delineare un cinema diretto verso l’esaltante, inebriante e necessaria meta dell’Utopia. Non un Dogma, laddove gli stili erano differenti, ma tutti finalizzati allo stesso obiettivo: svegliare il Brasile da un fatale torpore, restituendogli la vera immagine di sé, senza fronzoli, sovrastrutture, mirando direttamente al cuore di un popolo ancora non pienamente consapevole del mondo in cui abitava.  La segregazione, la frantumazione dei valori, la crisi d’identità del singolo, la rassegnazione ai mutamenti storico-sociali e la brutalità delle guerre: sono questi i temi maggiormente trattati dai registi del Cinema Novo. Le questioni che vennero ampiamente esplorate in quegli anni originarono capolavori apprezzati ancora oggi. Glauber Rocha fu uno dei padri del Manifesto del Cinema Novo, pubblicato nel 1965, conosciuto anche col nome di Estetica della Fame. È sua una delle pellicole più significative, Deus e o Diablo na Terra do Sol del 1964, che esaminava le condizioni derivate dalla miseria, dalla fame e dal latifondo. Rocha non si limitò a registrare i fatti, ma si calò totalmente nella sofferenza e nello strazio. Il suo fu un cinema di totale immersione, dove dolore e oppressione diventavano linguaggio. Egli rivelò l’eterogeneità della sua nazione: il suo sertão, abitato da banditi e santoni, finì per raffigurare tutte quelle comunità che combatterono contro i poteri accentratori.

Lo sviluppo del movimento venne interrotto dal colpo di Stato del 1964, che provocò l’esilio di Rocha e di Diegues e limitò le possibilità espressive degli artisti rimasti, a causa della forte censura. Il 31 marzo di quell’anno le Forze Armate destituirono João Goulart. I leader del golpe, tra cui i governatori degli stati di Rio de Janeiro, Carlos Lacerda, di Minas Gerais, Magalhães Pinto e di San Paolo, Adhemar de Barros, scelsero come presidente il generale Humberto de Alencar Castelo Branco, seguito da una schiera di ufficiali dell’esercito. Tra i provvedimenti che presero i governi di quel regime risaltano l’eliminazione di molti diritti costituzionali, la soppressione fisica delle persone e delle istituzioni legate al presunto tentativo di rivolta comunista, e una netta riduzione della libertà di stampa.

Alla luce di quanto accaduto, allora, Cinema Novo non può essere considerato solo la celebrazione commossa di una corrente artistica importantissima, che si generò a partire dalla lezione del Neorealismo Italiano (Rossellini) e del grande Cinema Russo (Ėjzenštejn), quanto piuttosto, e soprattutto, un accorato appello alle nuove generazioni di cineasti a non lasciarsi sedare, e a fare proprio quello spirito di denuncia e della rappresentazione veritiera della realtà in grado di rendere ancora una volta la Settima Arte necessaria, uno strumento attraverso cui parlare alle masse, per stimolarne il pensiero e affinarne lo sguardo. Un cinema, insomma, che non sia il lacchè di un potere esercitato senza trovare resistenza alcuna, ma che si faccia veicolo della circolazione della potenza dei popoli, di coloro, cioè, che costituiscono l’essenza ontologica di una realtà spesso opprimente e miserabile. Cinema Novo è un film poetico, entusiasmante e necessario, un’opera che riconcilia con il cinema, giacché in esso riaffiora quel senso troppo spesso messo tra parentesi, oggi, dal bisogno di gradimento, laddove, invece, dovrebbe essere il desiderio di trasformare la realtà a muovere chi ha il privilegio di comunicare attraverso le immagini in movimento.

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