Vincitore del premio del premio Panorama all’ultima Berlinale, Insyriated è ambientato a Damasco durante il conflitto purtroppo ancora in corso in Siria; il coprifuoco costringe tutti a casa o nascosti e in un palazzo quasi completamente disabitato continua a vivere un gruppo familiare che sperimenta sulla propria pelle le atrocità della guerra, non soltanto in termini fisici ma anche psicologici.
Hiam Abbass, premiata come miglior attrice al Cairo International Film Festival, è perfetta nel ruolo di Yazan, una donna lontana dal marito, sempre irraggiungibile anche via telefono per via degli scontri, che si ritrova a gestire un nucleo familiare composto da due figlie adolescenti, un bambino, il suocero Abou Monzer (Mohnsen Abbas) e la sensibile e devota servitrice Delhani (Juliette Navis); insieme a loro vive una giovane coppia, il cui appartamento al piano di sopra è stata bombardato: Samir (Moustapha Al Kar) e Halima, che ha il volto fresco e fiero di Diamand Abou Abboud, attrice libanese già nota al pubblico internazionale per il suo ruolo di avvocato nel film L’Insulto di Ziad Doueiri.
Sullo sfondo dei bombardamenti e delle sparatorie, che tornano periodicamente a scombinare i già difficili equilibri all’interno della casa, si consumano due tragedie. Una mattina Delhani dice a Yazan di aver assistito alla sparatoria in cui è rimasto colpito Samir. Yazan, accentratrice e scrupolosa, vieta alla ragazza di dire ad Halima che suo marito è caduto vittima di un cecchino. Eppure Samir potrebbe essere ancora vivo, ma Yazan preferisce non intervenire per non esporre il resto della casa a ulteriori pericoli.
Seppur assediati, nel corso della giornata tutti cercano di dimenticare la guerra e provano a vivere, anche in pochi metri quadri; il nonno e il nipote che studiano e scherzano, i giovani che seguono le pulsioni tipiche della loro età, e Halima, speranzosa di partire a breve per Beirut con Samir e il loro neonato. Quando due uomini che affermano di essere della sicurezza irrompono dalla finestra, tutta la famiglia fa in tempo a nascondersi, tranne Halima, che viene intercettata dai due che si approfittano di lei, suscitando dolori, rancori e sensi di colpa in tutti gli abitanti della casa.
Yazan, Delhani e il vecchio Abou Monser sanno perfettamente che stanno nascondendo un segreto doloroso proprio ad Halima, e che proprio lei nel frattempo li sta proteggendo dal nemico; la giovane figlia di Yazan, dapprima rassicurata del fatto di non essere vittima della violenza che si sta consumando, sente comunque un profondo senso di colpa per questo suo pensiero. E in ogni caso, purtroppo, è la guerra a distorcere i pensieri e i comportamenti degli abitanti della casa; è la guerra che porta Yazan a essere così iperprotettiva con tutti, a non lasciarsi sfuggire i movimenti di nessuno nelle lunghe sequenze tra una stanza e l’altra, e addirittura a costringere Delhani (e sè stessa) a tacere sulla sorte di Samir.
La violenza su Halima, a cui tutti assistono chiusi a chiave all’interno della cucina attraverso le urla di lei e le minacce dei due uomini, pone al centro la questione morale su cui ruota Insyriated: fino a che punto siamo disposti ad arrivare per assicurare la nostra sopravvivenza e sacrificare qualcun altro per proteggere noi stessi?
Già direttore della fotografia (anche per Bruno Dumont), e ora alla sua seconda regia, dopo The Day God Walked Away in cui aveva già affrontato il tema della lotta per la sopravvivenza nell’ambito della guerra in Rwanda, il regista belga Philippe Van Leeuw firma anche la sceneggiatura di Insyriated e si avvale di un cast artistico multigenerazionale, superbamente coordinato, tra cui figurano anche alcuni rifugiati siriani.
Per la parte tecnica, la direttrice della fotografia Virginie Surdej e la scenografa Kathy Lebrun riescono a dare il meglio in uno spazio limitato di poche stanze, un corridoio e un balcone, da cui non ci affacciamo mai completamente, rendendo alla perfezione il senso di claustrofobia che pervade tutta la storia. Ad amplificare la tensione c’è il suono ricreato da Paul Heymans e Alex Goose, che evoca l’esterno coi suoi pericoli che squarciano i rarissimi e preziosi momenti di spensieratezza.