Vita di Pi è un film del 2012 diretto da Ang Lee, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Yann Martel. Lo abbiamo inserito tra i film da vedere assolutamente almeno una volta nella vita.
I premi di Vita di Pi
Il film ha ottenuto 22 candidature e vinto 4 Premi Oscar, 1 candidatura a David di Donatello, 3 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 17 candidature e vinto 5 BAFTA. In Italia al Box Office Vita di Pi ha incassato nelle prime 10 settimane di programmazione 8,3 milioni di euro e 743 mila euro nel primo weekend.
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La trama di Vita di Pi
Pi Patel è il giovane figlio del proprietario di uno zoo indiano e, vivendo a stretto contatto con gli animali, ha imparato a conoscerne abitudini e caratteri con precisione enciclopedica. Pi e la sua famiglia, però, sono costretti a lasciare l’India e si imbarcano per il Canada portandosi appresso alcuni degli animali dello zoo ma la nave su cui viaggiano affonda e dal naufragio si salvano solo lui e la gigantesca tigre del Bengala che Pi chiama Richard Parker. In balia delle acque dell’oceano per 227 giorni, Pi riesce a salvarsi dagli istinti feroci di Parker grazie alle sue conoscenze e all’anomalo rapporto che tra loro si crea.
La recensione di Taxi Drivers (Stefano Oddi)
Dal romanzo omonimo del canadese Yann Martel. Un giovane indiano con la mente colonizzata dall’immaginario culturale occidentale e lo strambo nome di una lussuosa piscina parigina – Piscine Molitor Patel, abbreviato a Pi per difendersi dai continui insulti dei compagni di classe – parte con la famiglia e gli animali dello zoo di cui il padre è proprietario per cercare in Canada un futuro migliore. La nave mercantile su cui s’imbarcano però viene coinvolta in un naufragio. Solo Pi riesce a mettersi in salvo su una modesta scialuppa che, suo malgrado, deve condividere con un orango, una iena, una zebra e una tigre del Bengala. Inizia così un lungo viaggio sospeso tra acqua e cielo, creature selvagge e isole carnivore, speranza e dolore.
Il cinema di Ang Lee
Il cinema di Ang Lee è da sempre una terra di frontiera. In cui coesistono e si scontrano tensioni opposte. Da una parte gli eccellenti esordi taiwanesi (Il banchetto di nozze, Mangiare bere uomo donna) in cui a fronteggiarsi erano modernità e tradizione, Occidente e Oriente. Dall’altra il recente e sottovalutato Motel Woodstock. Questo è un eccentrico e frizzante affresco sessantottino che contrapponeva i logoranti e bigotti schemi di pensiero di un’America conservatrice con la libertà anarchica e visionaria di una nuova generazione che tentava di gettarsi alle spalle il peso delle guerre sporche e di un’ideologia ipocrita.
Vita di Pi prosegue questa poetica della dialettica. Illustra attraverso i 120 minuti di narrato il confronto aggressivo, sanguigno, feroce ma anche tenero e malinconico tra uomo e animale, ragione e istinto, ingegno e carnalità. Un’opposizione quanto mai labile che il film non fa altro che rovesciare, frantumare e ricomporre. Manifesta attraverso le sue immagini incantate (e rese quasi palpabili da un 3D di ottimo livello) come le dicotomie universali che dominano il mondo civilizzato si sgretolino di fronte al timore della morte, del nulla, del vuoto e del non essere.
La tigre – all’anagrafe Richard Parker – impara a uniformarsi ai rigidi schemi della ragione. Per non morire di fame e l’uomo – per quanto riesca a organizzare la sua odissea secondo criteri di ordine e raziocinio come fosse un modernissimo Robinson Crusoe – impara ad accettare la propria bestialità selvaggia. Anche il proprio essere animale fra gli animali. Cinema del confronto, dunque. Del contatto e dell’attrazione ma anche della sfida e dello scontro diretto.
Fiaba crudele e affascinante
Pi, sorta di ultimo rappresentante del genere umano in quell’immenso e sterminato deserto che è l’oceano, diventa l’archetipo primordiale della vita. Un vita destinata – per restare tale e non decadere nel suo opposto – a scontrarsi con ciò che non vive. In questo senso, l’ultimo film di Ang Lee è una fiaba crudele e affascinante. Incentrata sulla “disarmonica armonia” che congiunge l’uomo al creato, il destino umano alla travolgente forza della natura.
Pi si confronta con l’aggressività della tigre che con lui spartisce il piccolo battello della salvezza, con l’immensa distesa d’acqua che dal cielo o dal mare lo travolge e lo circonda, stringendolo in una morsa inarrestabile, con le bestie marine, con l’irreale e luminescente magia di un’isola che mangia ciò che di vivo la sovrasta, con dio. O almeno con l’idea di dio, quella di una sovrastruttura che domini il caos e ponga ordine, spesso con fare imperscrutabile. E proprio in quest’evocazione del trascendente il film parla con meno forza. Con meno vigore – senza che questo tuttavia lo comprometta o getti cattiva luce sull’eccellente di lavoro di Lee. Ciò a cui assistiamo in scena è semplicemente lo scatenarsi della natura, incurante della vita che ospita. E l’aggrapparsi di un uomo solo a una dimensione sconosciuta. Le sue grida disperate alla ricerca di un sostegno nel mezzo del nulla a perdita d’occhio. In fin dei conti, il ricorso alla fiaba tende a soffocare quell’afflato spirituale comunque presente ma a tratti solo vagheggiato.
Esteticamente impressionante
Rimane la magnificenza estetica del film. Un film che segna una tappa fondamentale nella storia del cinema digitale. Con la sua poetica capacità – amplificata a dismisura dal 3D – di rendere l’immensità di un cielo notturno ormai fuso con il mare al pari dell’infinito racchiuso nel timoroso sguardo incrociato di due esseri diversissimi e insieme segnati da uno stesso tragico destino. E resta ovviamente la prepotente riflessione sul contatto con il diverso. Sull’esodo disperato cui ogni uomo è costretto nel suo viaggio alla scoperta di se stesso e del prossimo. Tratti che il cinema meticcio, multietnico e variegato di Ang Lee porta avanti da sempre.
Il film è disponibile su Disney+