“La nostra sola speranza di salvezza è un nuovo mondo” è ciò che, giustamente, recita la locandina.
Perché, ambientato in un 2065 caratterizzato da un pianeta Terra ormai distrutto dalle guerre, è con i sopravvissuti dell’umanità impegnati ad inviare una flotta di navi fino ai confini della galassia sperando di scoprire ignote, concrete realtà che si svolge The last scout – L’ultima missione, diretto nel 2017 dall’irlandese Simon Phillips, attore, tra l’altro, in Strippers vs werewolves.
Un lungometraggio fantascientifico la cui idea di base non può fare a meno di richiamare alla memoria quella di partenza del super classico Alien di Ridley Scott, in quanto abbiamo l’equipaggio della Pegasus che, dopo sette anni di viaggio e da tempo privo della possibilità di comunicare, si sta avvicinando alla sua destinazione quando, inaspettatamente, incontra una nave abbandonata.
In questo caso, però, man mano che i protagonisti si trovano vicini a compiere la loro missione e la propria sanità mentale finisce sull’orlo del baratro, non vi è nessuna creatura extraterrestre pronta ad eliminarli uno alla volta, bensì un’altra tipologia di minaccia (che non sveliamo per non rovinare sorprese) che li costringe a rendersi conto di non essere soli e, di conseguenza, a lottare per la sopravvivenza della razza umana.
Nel corso di quasi un’ora e cinquanta di visione che, immersa tra le stelle e costruita su una lenta e lunga attesa, relega nella sua parte finale lo spargimento di cadaveri, assumendo quasi il sapore di uno slasher spaziale.
Quasi un’ora e cinquanta di visione che, con il trailer nella sezione riservata ai contenuti speciali, rende disponibile su supporto blu-ray Koch Media; come pure il francese Arès, firmato nel 2016 da Jean-Patrick Benes.
Anche in questo caso è impossibile non avvertire una certa influenza da parte della fantascienza scottiana, in quanto è in maniera evidente Blade runner ad essere ricordato nelle scenografie e le atmosfere di un 2035 in cui l’ordine mondiale è cambiato; con una Francia che, afflitta dal problema di dieci milioni di disoccupati, fa parte dei paesi poveri e ospita una popolazione oscillante tra rivolta e rassegnazione, tanto da trovare sfogo in ultra violente battaglie televisive a base di lottatori sono legalmente dopati.
E sembra quasi di assistere a una rilettura futuristica di Lionheart – Scommessa vincente con Jean-Claude Van Damme dal momento in cui fa la sua entrata in scena il combattente veterano del titolo, che, interpretato da Ola”Skyfall”Rapace, ha bisogno di denaro per poter far uscire di prigione la sorella.
Un combattente che, in un contesto caratterizzato da gruppi farmaceutici in possesso di scuderie di campioni che approfittano, appunto, di ricorrere al doping, accetta di fare da cavia per una droga sperimentale propostagli dal suo coach e che gli consentirà, a quanto pare, di vincere tutti i prossimi match.
Una droga che segna per lui, in realtà, soltanto l’inizio dell’abisso, durante lo svolgimento di un’operazione che, vantante in qualità di co-produttore lo specialista in action movie Louis Leterrier (i primi due Transporter e Now you see me – I maghi del crimine nel curriculum), non punta in maniera esclusiva e banale sugli scontri e l’intrattenimento, ma privilegia la progressiva costruzione dei rapporti tra i diversi personaggi coinvolti nel plot.
Con dita staccate a morsi nell’indispensabile comparto relativo alla violenza.