L’ultimo re di Scozia, un film del 2006 diretto da Kevin Macdonald. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Giles Foden del 1998, narra attraverso le vicende di un personaggio di fantasia le drammatiche vicissitudini dell’Uganda sotto il regime del sanguinario Idi Amin Dada, tra il 1971 e il 1976. Forest Whitaker, che veste i panni del dittatore ugandese, ha vinto grazie a quest’interpretazione l’Oscar nel 2007, oltre al Golden Globe ed al prestigioso premio BAFTA. Con James McAvoy, Kerry Washington, Gillian Anderson, Simon McBurney.
Sinossi
Nicholas, giovane medico scozzese, va in Uganda per una missione umanitaria ed entra in contatto con il generale Idi Amin, da poco Presidente del paese. Nicholas diventa medico personale e principale consigliere del dittatore.
Il sanguinario regime instaurato dal 1971 al 1979 in Uganda dal folle dittatore Idi Amin Dada, visto attraverso gli occhi di un testimone diretto (immaginario), il medico scozzese Nicholas Garrigan. L’ultimo re di Scozia è un film teso, appassionante, incalzante, ottimamente interpretato da un grandioso Forest Whitaker e da un eccellente James MacAvoy, girato in una splendida fotografia calda e pastosa che rievoca gli anni ’70. Interessante la scelta di innervare con elementi di fiction fatti storici poco conosciuti e consumati nell’indifferenza collettiva, come del resto qualsiasi cosa accaduta in Africa in epoca post-coloniale. Il personaggio di Nicholas Garrigan, in questo senso, è una chiara metafora dell’atteggiamento occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo Mondo: ambiguamente sospeso tra idealismo e cinismo e sempre attraversato da paternalismo, complesso di superiorità, resipiscenza colonialista e, in generale, totale incomprensione (ma più spesso aperta manipolazione) delle inquietudini profonde che agitano un continente e ne scatenano indicibili violenze fratricide. Da un punto di vista più strettamente drammaturgico, il film di Kevin Macdonald è molto ben congegnato: la sceneggiatura di Peter Morgan e Jeremy Brock, tratta da un romanzo di Giles Foden, inizia quasi come un’oleografia terzomondista per trasformarsi progressivamente e implacabilmente in un serrato thriller avventuroso, man mano che la follia di Amin Dada diventa sempre più evidente. Il regista scozzese Macdonald è un documentarista (e si vede) alla sua prima prova sulla distanza del lungometraggio e se la cava bene, riuscendo a trovare un perfetto equilibrio tra (più o meno finto) documentario e fiction.