Stasera in tv su Iris alle 21 La grande bellezza, un film del 2013 diretto da Paolo Sorrentino. La sceneggiatura è stata scritta dal regista assieme a Umberto Contarello. È stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2013. Ha vinto il Premio Oscar come miglior film straniero, il Golden Globe e il BAFTA nella stessa categoria, quattro European Film Awards, nove David di Donatello (su 18 nomination), cinque Nastri d’Argento e numerosi altri premi internazionali.
Il film si apre con una citazione da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, che funge da chiave di lettura introduttiva per il “viaggio” narrato ne La grande bellezza: «Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato, è un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non si sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi, è dall’altra parte della vita».
Sinossi
Dopo “L’apparato umano”, l’unico romanzo che ha pubblicato da giovane e che gli ha regalato la notorietà, Jep Gambardella (Toni Servillo) non ha scritto più nulla. È diventato però un giornalista e frequenta spesso l’alta società romana. La sua vita è un susseguirsi di incontri, appuntamenti e celebrazioni eccentriche che lo rendono testimone della crisi della società. Il clima che si respira nella capitale non è infatti più quello di un tempo: potenti, presenzialisti, contesse e immobiliaristi hanno preso il sopravvento, dando il via a un lento ma continuo processo di degrado che trasforma gli uomini in mostri. Durante una calda estate a Jep, ormai cinico e insofferente sessantacinquenne, non resta che pescare nei ricordi e, deluso dal presente, rivivere la sua appassionata e perduta giovinezza, contraddistinta dal ricordo di un innocente amore. Forse per lui è arrivato il momento di cominciare a scrivere qualcosa di nuovo.
La recensione di Taxi Drivers (Maria Cera)
Paolo Sorrentino con La grande bellezza è tornato a casa. E ci è tornato con una riflessione matura, feroce e malinconica, senza inganni, sull’esistere contemporaneo. La messa in scena di una presa di coscienza e di rinascita. Viaggio al termine della notte di Celine ci introduce con le parole nell’occhio lanciato sulla città eterna. Fissata-resa in un’apparizione densamente metafisica, potente verità di un’indefinibile bellezza capace di persistere ed essere visibile oltre tutto il meschino e frastornante scorrere dei giorni, avanzare della specie umana, oltre tutto il vuoto contemporaneo che ci attraversa. La macchina da presa, mobile e sinuosa più che mai, più di tutte le altre volte che Sorrentino l’ha toccata, accarezza i ponti, le chiese, le strade, gli interni degli storici palazzi, le fuggevoli apparizioni ecclesiastiche. Pare voler inutilmente rubare ad essa il segreto, nel chiaroscuro che attraversa, lasciandoci un’estatica sensazione di pace e di appagamento. Rotta-spezzata dal frastuono musicale e umano, barocchissimo e folgorante fotograficamente, di una festa mondanissima su una terrazza, celebrazione amara del nulla. Il ballo degli invitati, dai corpi e dalle movenze volgari, da tribù privilegiata di lusso, tratteggia in un montaggio da ‘puzzle’ un’ambiente di compressione del vuoto. Come quando si parla perchè si è terrorizzati dal silenzio. Autentiche maschere, grottesche e infinitamente tristi nell’esplosione di entusiasmo, divertimento, e mancanza di inibizione che manifestano. Tutto completamente massificato. Dentro questo corpo informe che si destreggia in un latino americano che inneggia al ‘Viva la vita’, si stacca lui. Jep Gambardella. Che ci rivela : “Io alla domanda: Qual e’ la cosa più bella della vita?”, da ragazzo non rispondevo: “La f.” come tutti i miei amici. Rispondevo” (e la risposta non ve la scrivo, la scoprirete vedendo il film).
Jep Gambradella è uno di loro. Uno pigro. Uno che ha volutamente gettato all’aria, dissipato il suo talento. Uno che ha esattamente realizzato ciò che voleva essere : non un mondano, ma il signore dei mondani. È un cinico. ‘Dandy’ autoironico, con la passione che prende le distanze, da napoletano qual è, nel constatare la miseria in cui è immerso. Soprattutto Jep Gambardella è una persona sensibile. Ha scritto un libro anni, anni fa. Giornalista, padre padrone del jet set, festeggia il suo 65 esimo compleanno. Questo traguardo gli lascia un’insofferenza pallida. Comincia ad essere stanco, comincia a sentirsi vecchio, comincia ad essere stufo di fare cose che in realtà non ama fare. Comincia a pensare di volersi rimettere a scrivere. Inizia la sua risalita, lenta, incerta, contraddittoria, costellata da incontri significativi e nel confronto-scontro con gente del suo ambiente, e nell’ingresso di umani che ne stanno fuori (la popolare e vera Ramona–Sabrina Ferilli; la tragicomica e rivelatrice santa; il cardinale esorcista amante della cucina; il marito del suo unico e giovane amore), rivelandogli ancora più marcatamente la finzione, la mediocrità di un vivere senza pensare ed essere, attaccato al flusso dello stordimento di relazioni umane fatte di chiacchiericci ed autoinganni vacui e sterili, di rapporti con un’arte e una cultura in cui l’essere alla moda fa rima con creazione e talento: tutti fanno tutto, dicono tutto, caricandosi di una falsa verità sulla propria vita e su se stessi, dentro una totale massificazione e banalizzazione che ha fatto perdere il valore di emozioni, intelletto, di un vivere realmente attaccati alla realtà che ci circonda e a ciò che si è.
La pellicola non manca di momenti zoppicanti: alcune situazioni eccessivamente estremizzate in modo un po’ scontato – come la serata lifting – e la stessa narrazione perde di elasticità, immobilizzandosi in sospensioni e ripartenze slegate, dove ci viene in aiuto solo la macchiana da presa nelle sue dilatazioni, a riafferrare il tempo di racconto, perduto. Alcuni personaggi, come uno dei pochi amici veri di Jep interpretato da Carlo Verdone (nel suo primo ruolo drammatico, diciamo serio) sono troppo ancorati alla carta e scialbi di forza propria, questo sempre per demerito di Umberto Contarello, sceneggiatore da ‘vecchia scuola‘ di cui Sorrentino dovrebbe sbarazzarsi per rendere, anche a livello di scrittura, fluido e denso il suo racconto visivo, come ai tempi de le Conseguenze dell′amore.
Nonostante queste pecche La grande bellezza fa fare al cinema di Sorrentino un passo in avanti. Jep Gambardella contiene in sè Toni Servillo (che rende un’interpretazione anche ‘di cuore‘, amando come non mai il suo personaggio) e lo stesso Sorrentino, che con questo manifesto intimo e sociale solca con un punto una prima fase del suo percorso da autore e regista.
Gli accostamenti a Fellini sono, come giustamente il regista ha precisato, interiorizzazioni delle sue visioni che, da amante del cinema e autore, ha assorbito nel corso della sua formazione. Fellini non c’entra in nessun altro modo, e si comprende benissimo.