All’Asian Film Festival “Cow”: Tutti pazzi per la mucca!
Con Cow (2009), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2009 nella sezione Orizzonti, il concorso dell’Asian Film Festival aggiunge un pizzico di maturità narrativa in più ai temi proposti. Questa incredibile e toccante metafora che è la pellicola di Guan Hu ha la capacità di renderci indietro attraverso l’ironia, il paradosso, la poesia, unite ad una tecnica cinematografica che dosa sapientemente tutte le sue possibilità al servizio della storia e dell’incredibile energia immaginifica del regista, un quadro dell’insensatezza umana tra i più efficaci ed originali.
Con Cow (2009), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2009 nella sezione Orizzonti, il concorso dell’Asian Film Festival aggiunge un pizzico di maturità narrativa in più ai temi proposti.
Questa incredibile e toccante metafora che è la pellicola di Guan Hu (classe 1968), uno degli esponenti più interessanti del nuovo cinema cinese (il suo esordio nel lungometraggio, ossia Dirt – 1994, dedicato ai gruppi musicali rock underground di Pechino ed Eyes of a beauty – 2002, sui costumi sessuali nella Cina contemporanea, esemplificano al meglio il tipo di personalità cinematografica con cui abbiamo a che fare), ha la capacità di renderci indietro , attraverso l’ironia, il paradosso, la poesia, unite ad una tecnica cinematografica che dosa sapientemente tutte le sue possibilità al servizio della storia e dell’incredibile energia immaginifica del regista, un quadro dell’insensatezza umana tra i più efficaci ed originali.
Anni ’40. Uno sperduto villaggio di montagna della Cina diventa il centro del mondo e di una guerra (la sino-giapponese), del suo sviluppo e delle imprevedibili e alterne dilatazioni, che passano e si riflettono dentro una mucca ‘enorme e straniera’, unica sopravvissuta a quella che sembra una vera e propria ecatombe nucleare, insieme al suo custode, l’ingenuo e tenero Niu Er (un empatico ed energico Huang Bo). I due, uniti sin da quando il villaggio pullulava di vita e bellezza da un contratto, che incaricava il pastore Niu di proteggere e custodire la mucca comunista, fonte inesauribile di latte al servizio del popolo, si ritrovano, prima, a fronteggiare la solitudine che li coinvolge, scontrandosi e fidandosi a poco a poco l’uno dell’altro; poi, a gestire l’umano e la sua follia, stoltezza e meschinità quando, nelle rispettive vicissitudini del nemico giapponese e degli ‘amici’ profughi cinesi, i due esseri ‘sopra la vita e le cose’ (Niu e la sua mucca) sperimentano l’impossibilità di avere un qualunque legame con gli uomini con cui si imbattono, ingrati e poco rispettosi verso la mucca, eletta a metafora di un bene incredibilmente prezioso e benefico, sfruttato senza la minima riconoscenza-considerazione.
Guan Hu ricorre ad un ‘armamentario’ narrativo e tecnico che sfalda l’iter temporale in un unico momento nel quale ci confrontiamo tra il prima e il dopo, tra lo scorrere sereno dei giorni al villaggio senza guerra e la desolazione e preistoria seguita al bombardamento, rincorrendo Niu e il suo vagare senza meta e direzione per il villaggio alla ricerca di ‘qualcuno’ (la sua Jiu, indomabile donna al pari della mucca, che ne diventa l’incarnazione, suggellata dal braccialetto di Jiu, conficcatole nel naso).
La macchina da presa sprigiona un’energia impressionante: corre, scavalca, vola, abbracciando, attanagliando, espandendo il mondo che racchiude, e la narrazione l’accompagna con la stessa intensità e poesia, preservando i nostri due eroi (apparentemente i più fragili e indifendibili) dalla follia umana, che attraversano incolumi e dalla quale fuggono ritirandosi tra le altezze incontaminate dei monti, dove vivranno i giorni che rimangono nel silenzio e nella luce inesprimibile della natura.