Che dietro la macchina da presa si trovi il Mike Mendez cui si deve, tra l’altro, la divertente zombie comedy The convent (2000), lo si intuisce facilmente fin dalla apertura ultra-splatter, tra mannaie in azione, un volto di donna ustionato nell’acqua bollente di una pentola e, chiaramente, abbondanti schizzi di liquido rosso.
Con un antico demone destinato a fare la propria comparsa in una cittadina dell’Alaska per lasciare dietro di sé una lunga scia di morte e distruzione, però, a colpire in Don’t kill it (2016) è il fatto che, nei panni di un cacciatore di creature diaboliche trovatosi già tempo addietro ad incontrare la terribile entità, sia il noto volto della celluloide d’azione Dolph Lundgren, conosciuto soprattutto per aver incarnato il pugile Ivan”Ti spiezzo in due”Drago in Rocky IV (1985).
Un genere piuttosto insolito, l’horror, per il colosso svedese, che viene affiancato da una agente dell’FBI con le fattezze della Kristina Klebe di Halloween – The beginning (2007) nel tentativo di annientare la minaccia ultraterrena, a quanto pare propensa a possedere chiunque sia armato, trasformandolo in sanguinario ammazza-innocenti.
Un aspetto dal forte retrogusto di denuncia pacifista non poco interessante, considerando soprattutto il fatto che viene sfruttato in una movimentata operazione a basso costo chiaramente mirata a divertire lo spettatore.
Perché, man mano che viene ribadito come il male, nella vita, possa essere allontanato ma non fermato, provvedono soprattutto motoseghe vibranti, arti mozzati, esplosioni di teste e perfino un tizio che si ritrova col cranio infilzato da corna di cervo appese al muro a tempestare i diversi massacri atti ad intrattenere a suon di gore esagerato durante la nient’affatto noiosa oltre ora e venti di visione, resa disponibile su supporto blu-ray da CG Entertainment (www.cgentertainment.it) in collaborazione con Minerva pictures.
Oltre ora e venti accompagnata nella sezione extra dal trailer originale sottotitolato in italiano, come pure l’edizione su disco in alta definizione di un’altra avventura cinematografica lundgreniana mai vista nelle sale dello stivale tricolore: Larceny (2017), per la regia di R. Ellis Frazier.
Un elaborato che, a giudicare dal momento d’azione posto addirittura in anticipo rispetto ai titoli di testa, potrebbe immediatamente spingere a pensare di trovarci dinanzi all’ennesimo film tutto muscoli e botte da orbi, tipico del biondone entrato a far parte della squadra dei mercenari stalloniani del grande schermo.
Ma le cose non stanno affatto così, in quanto è privilegiando soprattutto i dialoghi che viene progressivamente costruita la vicenda di un ladro professionista (Lundgren, appunto) assoldato dalla CIA perché si introduca nella super blindata prigione di Guantanamo per rubare da una cassaforte documenti che contengono tanto segrete quanto importanti informazioni.
Un’impresa di sicuro tutt’altro che associabile ad una tranquilla passeggiata, ma che si rivela ancor più complicata dal momento in cui un gruppo di sanguinari banditi si ritrova inviato nel medesimo momento ad assediare il penitenziario per recuperare i milioni che, confiscati al criminale che li ha incaricati, sono stipati nella stessa cassaforte; prima che arrivi l’esercito messicano.
Mentre il Louis Mandylor de Il mio grosso grasso matrimonio greco (2002) e il Corbin Bernsen di The dentist (1996) arricchiscono il cast di quasi un’ora e mezza il cui maggiore punto saliente, come ci sarebbe da aspettarsi, è individuabile in un lungo confronto che avviene tra le pareti del carcere, con tanto di pallottole volanti e violenti scontri corpo a corpo.
Insomma, due diversi titoli giusti per una serata… spiezzata in due!