American Beauty, un film del 1999 scritto da Alan Ball e diretto da Sam Mendes, vincitore di numerosi riconoscimenti: cinque Premi Oscar, tre Golden Globe e ben sei Bafta nel 2000. Il film è stato descritto dalla critica cinematografica come una satira sugli obiettivi e sul concetto stesso di bellezza del ceto medio americano; tali analisi riscontrano nel lavoro di Mendes anche un approfondito sviluppo dell’amore romantico e di quello paterno, della sessualità, della bellezza, del materialismo, della liberazione catartica dalle proprie preoccupazioni e del riscatto personale. Uscito nelle sale del Nord America il 15 settembre 1999, American Beauty venne positivamente accolto sia dalla critica sia dal pubblico; fu il film con le recensioni migliori di tutto il 1999 e incassò oltre 350 milioni di dollari nel mondo. Durante la notte degli Oscar del 2000, la pellicola, precedentemente candidata in otto categorie, conseguì il prestigioso riconoscimento in cinque: miglior film, miglior regia (Sam Mendes), miglior attore protagonista (Kevin Spacey), migliore sceneggiatura originale (Alan Ball) e migliore fotografia (Conrad L. Hall).
Sinossi
Il momento più significativo della giornata di Lester Burnham è la quotidiana masturbazione sotto la doccia. Per il resto la sua vita scorre sempre uguale con un lavoro che odia, una moglie e una figlia che lo detestano e che lo considerano solo un perdente. Ma un giorno conosce Angela, la compagna di scuola di sua figlia, e rimane folgorato dalla sua sensualità. Da quel momento la sua vita cambia: si licenzia, ottiene una buona liquidazione e comincia a vivere per davvero. L’amicizia con il nuovo vicino Ricky, spacciatore di marijuana ossessionato dal padre neonazista, fa capire a Lester che la vita val la pena di essere vissuta fino in fondo.
«Penso che stavo raccontando… di come sta diventando sempre più difficile condurre un’esistenza autentica, quando viviamo in un mondo che sembra puntare i riflettori sull’apparenza. […] Si vedono così tante persone che si sforzano di vivere una vita costruita e quando poi raggiungono il loro obiettivo si chiedono perché non sono felici. Non mi resi conto di tutto ciò quando mi sedetti a scrivere [American Beauty], ma questi concetti sono importanti per me». (Alan Ball nel 2000, parlando della sceneggiatura del film).
Uno dei migliori film statunitensi di quel periodo. Un ritratto intelligente, lucido, crudo ed amarissimo della borghesia statunitense, che cela le sue anormalità ed i suoi problemi dietro una facciata sana e normale; ma chi lo è veramente? Non il frustrato Kevin Spacey, costretto a vivere con una moglie arrogante, una figlia che non gli parla, una vita sessuale inesistente, un lavoro schifoso, finché egli non rischia il licenziamento e prende una sbandata per l’amica della figlia; troverà un nuovo equilibrio e riscoprirà il gusto di vivere. Non lo è il suo vicino di casa ex marine, fanatico della disciplina e represso. American beauty è un film cattivo e triste, che non si lascia ingoiare dall’ira, non cade mai nella tristezza fino a diventare lacrimevole, non ha mai la pretesa di scioccare lo spettatore e di stordirlo con la violenza, né di imbottirlo di retorica stucchevole. Tutto è perfettamente dosato e miscelato, nulla è fuori posto, ognuno ha il suo spazio, non s’indugia mai troppo sul dramma, sulla commedia o sul thriller. American beauty non è che un quadro connotato da duro e crudo realismo. Kevin Spacey è eccellente, ma sono bravi anche gli altri, grazie a personaggi di contorno ben definiti.