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XX Medfilm Festival: “Once Upon A Time” di Kazim Oz e “Sobre La Marxa” di Jordi Moratò

” Once Upon A Time del curdo Kazim Oz e “Sobre La Marxa” del catalano Jordi Moratò documentari in concorso al XX MedFilm Festival hanno in comune lo “sguardo da dentro” degli autori, che raccontano situazioni di quotidianità, in alcuni casi in contrasto con l’idea di guerra e miserie che i media ci restituiscono

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Once Upon A Time

Gianfranco Pannone, curatore della sezione documentari del XX MedFilm Festival, in corso in questi giorni alla Casa Del Cinema di Roma, ci spiega che a prevalere nella scelta dei documentari è stato lo “sguardo da dentro”: i dieci documentari provenienti da dieci aree diverse del bacino del Mediterraneo raccontano situazioni di normalità: questo vale soprattutto per le zone del Maghreb che negli ultimi due anni sono state rappresentate da opere influenzate dalla rivoluzione e dal dopo-rivoluzione; questa edizione offre la possibilità di vedere una realtà lontana dalla guerra e dalla miseria, una quotidianità in contrasto con quello che i media ogni giorno ci restituiscono. Cairo Drive di Sherief Elkatsha per esempio, racconta l’Egitto del dopo-rivoluzione partendo dal traffico del Cairo, non tralasciando mai lo sguardo verso un Paese in equilibrio precario.

Il regista curdo Kazim Oz si annida nei carrelli della spesa o sotto i sedili del treno per raccontare nel suo Once Upon A Time la storia di una famiglia curda che da Batman, cittadina turca dell’Anatolia, percorre un viaggio in treno verso la capitale Ankara, per poi andare a lavorare in un campo di lattuga; quella stessa lattuga, frutto di duro lavoro e di sfruttamento sarà raccolta e portata al mercato di Istanbul per poi essere rivenduta al dettaglio. Oz tocca tutti gli anelli della catena di produzione e distribuzione della lattuga, i lavoratori sottopagati e costretti a vivere accampati in tendoni di nylon, esposti al rischio di intossicazione per via dei fertilizzanti chimici utilizzati nella coltivazione; i supervisori, sfruttatori, preoccupati soltanto che la produzione venga portata a termine; i lavoranti del mercato di Istanbul, sfruttati anche loro da un distributore che intasca l’8% di provvigione sugli scambi effettuati; i consumatori finali, che acquistano la lattuga al supermercato (del benessere) ignari di quanto c’è dietro. Oltre al racconto in presa diretta della produzione e distribuzione della lattuga, un piccolo grande dramma si consuma all’interno del documentario: due giovani, figli delle famiglie di coltivatori, scappano per un fuga d’amore, mettendo nei guai la famiglia della ragazza che si era impegnata con i parenti del futuro sposo al quale era stata promessa e che, nonostante il matrimonio mancato, sarà costretta a versare la “dote” pattuita.

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Il film è costruito attraverso una fotografia minuziosa e attenta ai particolari; la questione curda viene affrontata attraverso la lingua: i dialoghi infatti sono sia in curdo che in turco, senza creare particolari blocchi comunicativi; le persone, sebbene appartenenti a gruppi linguistici diversi cercano sempre una mediazione gli uni verso gli altri, segnale di una convivenza di popoli che lascia piacevolmente sorpresi. Da sottolineare l’importanza dei sottotitoli, che per i dialoghi in turco sono in corsivo, in modo tale da consentire allo spettatore di cogliere le differenze linguistiche.

Sobre La Marxa (che in catalano vuole dire “sempre in moto”) racconta l’epopea di un “tarzan urbano” che decide di mollare il mondo civilizzato per costruirsi una “giungla” nel bel mezzo di una foresta per godersi la natura; riuscirà a portare a termine il suo sogno ma l’arrivo dei vandali, prima e la polizia poi, e la decisione di costruire un’autostrada successivamente, metteranno fine al suo “sogno”; la “giungla” privata fatta di torri e labirinti in legno, costruiti da Garrell (questo il nome del protagonista) diventa lo spazio scenico per tre film girati da un suo amico in maniera amatoriale: Garrell nel film è “Tarzan” ma il confine tra realtà e finzione è sempre molto sottile al punto tale che viene da chiedersi, in più momenti durante lo svolgimento del film, se Garrell non voglia costruirsi un labirinto per perdersi nella finzione e dimenticare la realtà.

La forza del documentario sta nell’autenticità dei sentimenti che spingono Garrell a fare e disfare, a costruire per poi distruggere: voleva spingersi sempre oltre, cercare la fine per poi sconfiggerla e ricominciare; lo sguardo del regista resta sempre distaccato, grazie anche all’umorismo che Garrell emana, (specialmente nei panni di Tarzan), quasi a volerci dire che ognuno di noi ha diritto al suo sogno, e deve fare di tutto per poterlo realizzare. Il problema è che con l’avvento della civiltà –e dell’uomo civilizzato, non c’è più spazio per la Natura, per il Sogno e per l’Immaginazione, ma soltanto per un’autostrada.

Anna Quaranta

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