Anno: 2014
Distribuzione: Mediaplex Italia
Durata: n. d.
Genere: Commedia
Nazionalità: Italia
Regia: Giulio Base
Data di uscita: 3 Aprile 2014
Piero Chiara è stato tra i più apprezzati scrittori italiani degli anni ’60 e ’70 e uno dei più utilizzati dal cinema, tanto che egli stesso partecipò a sceneggiature e adattamenti dalle sue opere. Se Il pretore di Cuvio (1973) è stato l’unico dei suoi romanzi a non conoscere versioni per il grande schermo, nonostante diverse sceneggiature dello stesso Chiara e varie proposte rifiutate, un motivo forse c’era. Almeno fino a che l’attrice Sarah Maestri non ha lottato per acquisirne i diritti e proporre la regia di Il pretore a Giulio Base: il danno è fatto.
Il film racconta di un pretore in una cittadina lombarda durante il regime fascista, un uomo viscido che gestisce il potere secondo convenienze e interessi, politici e sessuali. L’arrivo di un giovane assistente cambierà parecchio l’andazzo in città. Adattato da Base, al ritorno al cinema dopo 15 anni di tv, assieme a Dino e Filippo Gentili e Federico Roncoroni (curatore dell’opera di Chiara e detentore dei diritti), Il pretore è una commedia satirica e grottesca che precipita al contempo nel melodramma e nella farsa.
Tutto girato e ambientato nei luoghi cari allo scrittore, tra Luino e il varesotto, il film è una riflessione amara e divertita su come il potere e la sua corruzione nel nostro paese non siano fattori storici, che cambiano con il trascorrere degli anni e degli eventi, o politici, dipendenti dai governi, ma quasi antropologici, che hanno a che fare con una predisposizione quasi atavica all’essere italiani. Così, un racconto degli anni ’30 diventa grottescamente aderente tanto agli anni ’70 quanto agli anni ’10 del 21° secolo. Quello che però risalta tragicamente nell’operazione diretta da Base, è che l’immaginario e la fruizione televisiva non ha solo deteriorato il gusto del pubblico, ma ha danneggiato occhi e talento degli stessi cineasti.
Così, la messinscena è piatta come una prima serata Rai, la narrazione è greve e approssimativa, piena di sottolineature insistite e patetismi, incapace di trovare un tono che non sia pesante o urlato, tanto nel dramma quanto nella commedia (tripudio di doppi sensi). E il colpo di grazia arriva dalla recitazione, che oscilla tra sitcom e la filodrammatica di periferia: vedere Francesco Pannofino costretto per due ore a fare faccette, mossette e strilletti come fossimo ancora in una versione deteriore di Boris deprimerebbe chiunque, soprattutto chi vorrebbe trovare se non la lettera, lo spirito di uno scrittore fondamentale. Che sapeva usare la farsa e il grottesco, e non farsene scudo per cercare di coprire insormontabili difetti artistici.
Emanuele Rauco