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FESTIVAL DI CINEMA

Ravenna Nightmare: Oltre il guado di Lorenzo Bianchini

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Welcome to the Nightmare”. Sono queste le parole d’ordine del festival ravennate, giunto all’undicesima edizione pimpante e ancora in grado di riservare sorprese. Giusto per citarne qualcuna, tra le novità di quest’anno vi è anche il moltiplicarsi dei premi: il concorso internazionale vedrà infatti assegnati, oltre al tradizionale premio per il Miglior Film, riconoscimenti inediti quali il Premio del Pubblico, quello per il Miglior Attore e quello per la Migliore Attrice. In questa “rivoluzione di velluto” spicca anche la promozione del sempre presente Albert Bucci a Direttore Artistico, per un cambio della guardia che va a configurarsi nel segno della continuità, anche in virtù dell’importante e validissima Consulenza Artistica che lo storico direttore del festival, Franco Calandrini, continua ad offrire. La nota di commento dello stesso Bucci è esemplare, a riguardo: “L’impegno comune per il futuro rimane lo stesso dei dieci anni già trascorsi: scavare l’arte che esiste nel cinema di genere e costruire un evento che sappia sopravvivere nella memoria di tutti i partecipanti.”

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L’idea che l’arte possa permeare i prodotti più interessanti di un cinema che, forse anacronisticamente, ci si ingegna a definire “di genere”, è ben presente sin dalle scelte di programmazione, che hanno caratterizzato la prima giornata di festival. La serata del 26 ottobre si è infatti aperta con un Evento Speciale, la proiezione di Outrage Beyond del grande Takeshi Kitano. E per quanto la trama a una prima visione possa risultare difficile da metabolizzare, persino un po’ contorta, se ci si sforza di seguirla con attenzione si scopre che questo noir crepuscolare la dice lunga, su quanto profonde possano ancora essere le riflessioni di Kitano su un genere a lui molto caro, lo Yakuza movie. Ma la vera sorpresa di giornata è rappresentata dal primo film del concorso, Oltre il guado (titolo internazionale Across the River) di Lorenzo Bianchini. Una sorpresa assai relativa, volendo, poiché nell’ambito delle produzioni veramente indipendenti il cineasta friulano ha già esibito, in questi anni, una poetica personalissima e un’originalità di sguardo capace di creare tensione, a partire dal sostrato antropologico e dai paesaggi stessi del Nord-Est italiano.

Non è così comune, del resto, che una vetrina internazionale parsa spesso scettica e critica verso il valore delle produzioni nostrane, quale a ben vedere è il Ravenna Nightmare, si decida a inserire il “made in Italy” direttamente in concorso. In questo caso, vista anche una reazione del pubblico così emotiva, entusiasta e partecipe, non poteva esserci scelta migliore. In Oltre il guado il buon Bianchini sembra aver ulteriormente raffinato l’impronta minimalista, straniante ma a tratti eccessiva, del precedente Occhi, elaborando una strategia della tensione parimenti atipica e, al contempo, più ossessiva e incalzante. L’allucinante parabola dell’etologo avventuratosi, per studiare gli animali, in terre al confine tra la Slovenia e il Friuli rivelatesi culla di terribili segreti, coincide qui col progressivo scivolare in un Inferno di solitudine, angoscia, isolamento e rancori indicibili, provenienti questi da un passato di privazioni e di stenti. E’ come se il protagonista, nell’atto di attraversare col camper un torrente in piena, che sarà molto più difficile guadare al ritorno, entrasse in un territorio ancestrale che non concede scampo a chi vi inoltra senza sapere, senza nemmeno immaginare a cosa va incontro. Quel corso d’acqua nella foresta è perciò la cesura, il “limine” tra gli orizzonti più omologati della civilizzazione e l’insieme di forze preesistenti, che ne bilanciano il potere, l’apparentemente pervasività.

Col volto intenso e spesso atterrito dell’attore-rivelazione Marco Marchese, l’avventato etologo ci trascina quindi in un mondo dove niente è come appare; un mondo dove le attrezzature fotografiche predisposte per le riprese notturne arrivano a fotografare, insieme agli animali che normalmente abitano la foresta, altre inquietanti presenze; dando luogo, in questa maniera, a un formidabile teorema della visione e dei limiti umani cui essa soggiace. Ne deriva, neanche a dirlo, il più maturo, incisivo e potente tra i film realizzati finora da Lorenzo Bianchini, un talento che meriterebbe senz’altro maggior considerazione.

Stefano Coccia      

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