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Interviews

Enzo G. Castellari: una felice, irripetibile stagione del cinema italiano di genere

Cinema italiano tra passato, presente, futuro. Rubrica a cura di Giovanni Berardi

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Enzo G. Castellari e Giovanni Berardi

Siamo al cospetto, finalmente del regista Enzo G. Castellari, un autorevole esponente dell’action-movie italiano.  A guardarlo bene, mentre ci accingiamo a salutarlo, la sua fisicità incute anche un profondo timore, il messaggio immediato recepito è proprio di questo tipo. In fondo Castellari è stato anche un pugile, e per il cinema, nella sua ormai lunga e favolosa carriera, anche uno stunt-man, il figurante che sa ben cascare, prendere e dare benissimo le botte. Ma il viso di Castellari, visto da vicino, è decisamente affabile e gli occhi sono dolci e sorridenti oltremisura, questi davvero firmano una autentica patente alla sua tranquilla disponibilità.  L’occasione propizia è stata l’eccellente edizione dell’ HorrorFilmFest 2013 svoltasi a Nettuno a fine agosto, sul litorale laziale, in una edizione proprio cercata, voluta, difesa a denti stretti dal proprio sindaco, Alessio Chiavetta. Dice Castellari: “In definitiva io con l’ horror puro non c’entro nulla, non ho mai girato in vita mia nessun film di zombies, anche se me lo avevano più volte proposto. Chi diceva e proponeva questo affermava che un film del genere era adattissimo alle mie corde spettacolari. Ma quei film non li sentivo miei, e quel film in particolare, che era  Zombie 2, l’ho gentilmente concesso a chi poi lo ha realizzato, e benissimo, al posto mio, e cioè  Lucio Fulci, che del genere in questione è stato un vero maestro”.

Foriera di tante ammissioni con il cronista sarà soprattutto la precisa traversata con Castellari dal borgo medievale di Nettuno (dove si era svolta nel pomeriggio, come da programma del festival, la presentazione di un bel libro sull’argomento horror, un libro decisamente esaustivo, Zombie: oltre 900 titoli per non riposare in pace,  scritto dall’amico  Francesco Lomuscio per le edizioni Universitalia) allo stabilimento sulla spiaggia della ProLoco, dove in serata era previsto l’intervento di Enzo G. Castellari a sostegno della proiezione de L’ultimo squalo, girato da Castellari nel 1980, considerato da critici autorevoli, effettivamente, come una sua non volente incursione nell’ horror più specifico. Dice Castellari: “L’ultimo squalo mi procurò un bel po’ di guai in America per l’accusa che mi fu rivolta, quella del plagio. Ed in America, ve lo garantisco, non vi è cosa peggiore che essere accusati di plagio. Steven Spielberg  aveva già girato il suo famosissimo  Lo squalo nel 1975, girato con un budget di milioni e milioni di dollari. L’ultimo squalo invece ha avuto costi ben inferiori al milione di dollari. Quando il film fu proiettato nelle sale americane, limitato alla sola zona di  Los Angeles  tra l’altro,  in un solo week end riuscì a realizzare oltre due milioni e duecentomila dollari. Pensa, solo tre giorni al botteghino aveva fruttato tutti quei soldi. Questa cosa disturbò parecchio il mondo produttivo di Hollywood, un italiano che con la sua cosetta metteva in soggezione il grande film di Spielberg era intollerabile, e così cominciarono a decantare una serie di assurde analogie, tutte pretestuose, tra il mio film e quello di Spielberg. Una serie solo di dettagli inutili. Che so, la macchinetta del caffè usata in ufficio dal mio gendarme era della stessa marca di quella vista nel film precedente, l’automobile usata era della stessa casa automobilistica, la moglie del gendarme era bionda, come la moglie del gendarme nel film di Spielberg,  e così via. Tutta una serie di inutili dettagli che diventavano infine una analogia. Il film fu così tolto dal mercato statunitense solo perché gli incassi de L’ultimo squalo potevano contrastare quelli raggiunti da Lo Squalo di Spielberg, e magari superarli. Pensa che quando il film fu fermato nel mercato americano aveva già incassato diciassette milioni di dollari. Ma il contesto emozionale del mio film era un altro, il concetto di azione era diverso, la situazione drammaturgica differente, tale infatti da essere poi accostato, L’ultimo squalo, più che altro al genere horror, cosa di cui non è mai rientrato il primo”.

Ma oggi il contesto produttivo e la critica americana ha pienamente recuperato Castellari: “Grazie ai grandi incassi nelle sale americane del mio film I guerrieri del Bronx – il film restò per settimane al quinto posto delle graduatorie di Variety, una classifica dove ogni produttore al mondo farebbe carte false per apparire almeno una volta tra le prime cinquanta posizioni -, ho avuto lo spazio per tornare a lavorare in America”.  Ora grazie alla abilità cinefila di Quentin Tarantino, Enzo G. Castellari, oltre oceano, viene considerato giustamente un autore di culto e di assoluto carisma, un maestro, cosa che non succede ancora pienamente in Italia. Prova ne è la contrastata vicenda del progetto, che Castellari porta avanti ormai da anni, Gli implacabili (L’angelo, il bruto ed il saggio), progetto che era stato giudicato positivamente anche dalla commissione ministeriale, tanto da decidere, a suo tempo, anche la elargizione di un budget per la sua effettiva realizzazione. Ma il progetto, tutt’ ora rimasto in fase di partenza, ha conosciuto uno stallo che si avvia ormai verso il suo decimo anno.

Dice Enzo G. Castellari: “Il nostro cinema d’azione, e di genere comunque, negli anni, è sempre stato capace di finanziarsi trovando risorse e patners economici sul mercato. Oggi questo è diventato difficile, se non impossibile. Quindi si richiedono e si percorrono altre strade, sicuramente più complesse e contorte. Ed il cinema italiano si fa sempre meno”. Intanto chi scrive ha amato tutto il cinema di Enzo G. Castellari,  dall’amato genere western, con il quale Castellari ha esordito nel 1967 con 7 winchester per un massacro,  a cui è seguito, sempre nello stesso anno, il formidabile  Vado… l’ammazzo e torno,  sino ai suoi formidabili ed ineccepibili polizieschi:  La polizia incrimina, la legge assolve, 1973,  Il cittadino si ribella, 1974, Il grande racket, 1976, La via della droga, 1977, Il giorno del Cobra, 1980. Dice Castellari: “Nel genere western davvero si è caratterizzata una mia identità professionale che rivendico. È Keoma, un western realizzato nel 1977, una data in cui la massima espressione del genere western era ormai terminata, o rivolta ai minimi termini, un tardo western come si usa dire ancora, il film che preferisco e che più mi rappresenta”. La filmografia di Castellari è senza dubbio di impianto realistico, nei suoi formidabili western e nei suoi spettacolari polizieschi tale componente è essenziale,  ma esiste comunque anche una componente, altrettanto essenziale del suo cinema, che è quella fantastica e post-atomica: titoli quali 1990: i guerrieri del Bronx, 1982, Fuga dal Bronx, 1983, I nuovi barbari, 1983, Tuareg, il guerriero del deserto, 1983, Colpi di luce, 1985, ne sono certamente gli esempi concreti e maggiori. Ma il cinema di Castellari resta comunque ricco, tra le righe, anche di una componente secondo noi essenziale per il cinema italiano, che è quella umoristica, ironica, talvolta decisamente comica, che poi, nel caso specifico di Enzo G. Castellari, pensiamo, é chiaramente ereditata dal padre, il regista  Marino Girolami, che in tal senso è stato davvero uno specialista. Castellari ha spesso usato questa metodologia umoristica, talvolta risolta sottotraccia, altre volte, invece, in maniera più decisa, specialmente nei suoi western: titoli come il già citato  Vado… l’ammazzo e torno, 1967, Ammazzali tutti e torna solo, 1969, Tedeum, 1972 e Cipolla Colt, 1975, ne sono gli esempi più concreti, ma anche in qualche suo poliziesco, in definitiva, Castellari  non è rimasto poi totalmente immune da tale effervescente componente umoristica. D’altra parte tutto ciò continua a testimoniare, tutto sommato, una tendenza anche naturale della cultura italiana, anzi dell’essere italiani. In fondo siamo risultati grandi, e riconosciuti nel mondo, attraverso le nostre grandi tragicommedie, la nostra mai superata migliore commedia all’italiana, quella di Monicelli, Amidei, Risi, Age, Scarpelli, SonegoVincenzoni, Scola, tanto per rinverdire come sempre i nomi che crediamo siano i responsabili positivi maggiori.

Dice Enzo G. Castellari:  “In realtà io sono e resto sempre il primo spettatore di me stesso. Giro i miei film sempre secondo l’ottica di vedere sullo schermo quello che io vorrei precisamente vedere. E questa tendenza, penso, mi ha sempre fatto trovare in buona sintonia con i gusti del pubblico. Cioè il gusto è  di regalare al pubblico sempre e comunque tutto me stesso”. Parlare oggi di Enzo G. Castellari significa, in qualche maniera, ricordarsi di Quentin Tarantino. Nella nostra particolare classifica di autori amati a dismisura, oltremodo riconosciuti  a livello mondiale per la loro assoluta grandezza e genialità, Tarantino ricopre un posto di assoluto rilievo: quinto, in una graduatoria che comporta Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrik, Sergio Leone. Se Tarantino stravede così tanto per Enzo G. Castellari, e per tanto cinema di genere italiano girati negli anni settanta, una ragione concreta dovrà pure esserci. Non pensiamo resti soltanto una questione di cuore, di particolare felicità, legata cioè, più che altro, all’ingenuità ed alla semplicità dell’infanzia e della adolescenza. Intanto Tarantino ha amato all’inverosimile, nello specifico, il film di Castellari  Quel maledetto treno blindato, girato nel 1977, tanto da autorizzarlo a crearne, nel suo genio autoriale, una sorta di remake formidabile come  Inglourious Basterds  (Bastardi senza gloria). Noi non abbiamo nulla da aggiungere, in questo contesto, alla genialità del film di Quentin Tarantino. Possiamo solo uno spassionato consiglio: bisogna, semplicemente, ed assolutamente, vederlo e rivederlo.  Piace ora, in questo contesto dedicato ad Enzo G. Castellari, parlare anche del papà, Marino Girolami. Ed infatti la vita di Enzo G. Castellari è stata una realtà proprio nata e vissuta dentro i piaceri e le vicissitudini del cinema.

Dice Enzo G. Castellari: “Sin da piccolo ho respirato aria di cinema internazionale. Questo perché papà e mamma durante la guerra salvarono una giovane donna ebrea dandole ospitalità in casa nostra. Per ringraziare, per sdebitarsi di tanto calore questa donna insegnò a papà tre lingue straniere, l’inglese, il francese e il tedesco. Papà, che in quegli anni lavorava nel cinema come aiuto regista (ricordo fu a lungo l’aiuto regista di Mario Soldati), cominciò ad essere l’unico aiuto regista capace di parlare tre lingue straniere, anzi quattro con l’italiano. Così finita la guerra molte produzioni americane cominciarono a venire a Roma a girare i loro film. Papà Marino era sempre il loro aiuto regista consigliato e preferito per il fatto appunto che conosceva a perfezione ormai queste lingue straniere.  Ed io, ragazzino, stavo sempre in mezzo a questi set da favola”. Marino Girolami, ormai reso “il mitico” da una accurata rivalutazione postuma, fu dopo la guerra un autore prolificissimo ed ordinato, sin dagli anni che vanno dai primi cinquanta e sino alla metà degli anni ottanta. Marino Girolami fu davvero il regista dalla filmografia ingombrante per i molti titoli prodotti, e soprattutto molto caratterizzata in tutto il decennio dei sessanta nel genere, quello del comico più puro.  Il problema con il cognome  Girolami,  in definitiva, poteva diventare per il figlio Enzo quello di restare ghettizzato nel genere prediletto di Marino, dal quale invece Enzo voleva distanziarsi, pur non rinnegandone le radici, e crearsi una sua identità autonoma. Poi, dal 1970 in poi, Marino ha invertito la rotta diventando davvero il regista che, più di altri, saprà adoperare la macchina da presa in qualunque genere del cinema più commerciale, sino a toccare, senza mai contaminarli tra di loro (era un suo fervido credo) anche i noir, i polizieschi, la fantascienza, le spy-story, la commedia sexy, gli splatters ed i western. Fu davvero, Marino Girolami, un super regista,  considerato malissimo certo (ma erano i limiti culturali del tempo), ma fu assolutamente super. Marino Girolami, ad un certo punto della sua carriera, fu soprannominato il regista dai tanti nomi, perché usava firmare alcuni suoi films  con i pseudonomi  più vari:  7 monaci d’oro, 1966,  ad esempio con il nome di Bernardo RossiRoma violenta, 1975, con quello di Franco Martinelli, Zombi Holocaust, 1980 con quello di Frank Martin, ma ve ne sono proprio una lunga serie di questi films che in questa occasione tralasciamo.  In ultima, quella  G. che insiste tra il nome Enzo ed il cognome usato  (Castellari è il cognome da nubile della mamma), in realtà non è un vezzo artistico quasi snobistico,  come si era in qualche caso creduto in precedenza, bensì il riferimento, l’aggancio al suo vero cognome, Girolami.  Dice Enzo G. Castellari, sorridendo: “Beh, almeno questo riferimento a papà glielo dovevo”.

Giovanni Berardi 

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