Leo ha sedici anni, poca voglia di studiare e tanta di dichiararsi a Beatrice, la ragazza dai capelli rossi che frequenta il suo liceo. Perdutamente innamorato, prova in tutti i modi ad avvicinarla ma ogni volta non sembra mai quella buona…
Si moltiplicano in questi anni i film girati tra i banchi di scuola, fra adolescenti più o meno problematici, professori più o meno in gamba, genitori più o meno apprensivi/comprensivi. E la cosa non stupisce, dato che, da sempre, gli anni della formazione – sentimentale, scolastica ed esistenziale – sono per molti il momento della vita più trasgressivo, vitale e fecondo. S’inserisce a pieno titolo in questo filone la pellicola Bianca come il latte, rossa come il sangue, diretta con ritmo incalzante e satura di colori ‘forti’ da Giacomo Campiotti, liberamente tratta dal best seller omonimo di Alessandro D’Avenia. Il colore, richiamato nel titolo, è infatti un elemento importante del film, utilizzato dal protagonista Leo (un Filippo Scicchitano bravo ma un po’ cresciuto per il liceo…), un giovane sedicenne in cui l’esplosione prorompente della giovinezza, dei sensi e delle emozioni, si esprime anche materialmente attraverso i colori con cui vernicia le pareti della stanza: rosso, quando s’innamora della bella coetanea Beatrice (la fascinosa Gaia Weiss), una ragazza dai capelli ramati circondata da un alone di mistero, e quando gioca a calcetto nella squadra del cuore e sente il sangue pulsargli nelle vene. Leo detesta il bianco, il ‘colore del vuoto assoluto, del silenzio e della noia’, un colore che fa paura, e riempie le sue giornate di rosso, di vita, di carne e sangue. Le quotidiane scorribande con l’amico del cuore, Niko (Romolo Guerrieri), l’amore sognato con Beatrice, gli incontri con l’amica d’infanzia e confidente, Silvia (Aurora Ruffino), segretamente innamorata di lui, i compiti in classe copiati e le lezioni saltate per andarsene in giro in bicicletta, le liti con i genitori (Flavio Insinna e Cecilia Dazzi) che lo vorrebbero tranquillo e studioso: questa la vita di Leo. Ma un giorno, dopo aver scoperto il terribile segreto di Beatrice, Leo dipingerà la sua stanza di bianco, e tutto cambierà. Il film, in questa seconda parte, vira da argomenti della vita giovanile di tutti i giorni a temi più drammatici. Grazie all’aiuto di un simpatico professore di lettere (nel ruolo Luca Argentero, chi non vorrebbe averlo come professore?), amante del pugilato, e facendo appello alle sue risorse personali di coraggio ed allegria, Leo sarà accompagnato in un percorso di maturazione ed imparerà il vero significato dell’altruismo e della solidarietà, ricevendone in cambio un’insperata soluzione sentimentale. Pur non annoiando – i toni sono sempre vivaci – e tenendo desta l’attenzione dello spettatore, il film non brilla per originalità quanto alla sceneggiatura, soprattutto nella prima parte, e questo appiattisce il risultato finale: in qualche modo tutto è piuttosto prevedibile. Ciò non toglie al film godibilità se lo scopo è raccontare una favola adolescenziale che distragga e diverta, oltre ad esortare ad essere solidali con gesti che, in ambito sanitario (non si aggiunge altro per non svelare il colpo di scena del film), anche un giovane può compiere. “Mi sono divertito a girare questo film – afferma il regista – e sono contento della riuscita ed anche degli attori scelti, ai quali ho chiesto la massima autenticità nella recitazione. Con grande libertà e leggerezza ho cercato di usare il linguaggio dei ragazzi, i loro ritmi bruschi e spezzati ed improvvisamente delicati. Uno degli aspetti positivi dei momenti di crisi è che si cerca un maggior approfondimento e si fa appello a valori più profondi: i ragazzi (e anche gli adulti) a volte sono meglio di come li vediamo, e se la richiesta è più alta lo è anche la risposta. Tutti, prima o poi, si devono confrontare col dolore e la morte.” La colonna sonora, composta con passione e slancio dai Modà, incornicia nel migliore dei modi i diversi momenti e colori del film.
Elisabetta Colla
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