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E se vivessimo tutti insieme?, film di chiusura della sessantaquattresima edizione del Festival di Locarno, è il vero banco di prova del regista francese Stéphane Robelin, al suo secondo lungometraggio.
Il primo, Real Movie del 2004, che narra l’avventura di uno studente di cinema che filma il suo migliore amico, e ne drammatizza la storia per compiacere gli spettatori, si rivela un esperimento girato in digitale e con pochissimi mezzi, distribuito in una decina di copie.
E se vivessimo tutti insieme? La società che cambia
Sfruttando la propria sfera personale e familiare – il regista ha conosciuto quasi tutti i suoi bisnonni, instaurando con loro un legame profondo – Robelin concepisce un film in cui si parla dell’età che avanza e dei problemi legati ad una società che dovrà sempre di più fare i conti con una popolazione anagraficamente vecchia.
“In passato, i genitori anziani venivano accuditi dai propri figli, ma dall’inizio degli anni ’70 hanno smesso di vivere con le proprie famiglie”.
E’ proprio dagli anni Settanta che viene mutuata l’idea che dà origine al titolo, il concetto di comune, che univa i giovani di quell’epoca, diventa il filo conduttore dei cinque protagonisti di questa commedia. e
Nonostante il tema, amaro e impegnativo, Robelin, formatosi grazie ai film di Ettore Scola, Dino Risi, Marco Ferreri e Nanni Moretti, sceglie il genere Commedia per raccontare in maniera corale e allegra anche i momenti più seri, alleggeriti dall’umorismo.
La storia
Un gruppo di amici di vecchia data, che hanno passato da un bel po’ la settantina, decidono di andare a vivere insieme, per condividere le difficoltà di salute e aiutarsi reciprocamente.
Così, dopo l’infarto di Claude (Claude Riche), che non regge il consueto incontro amoroso con una giovane prostituta, Albert e Jeanne (Pierre Richard e Jane Fonda) e Claude decidono di trasferirsi nella grande casa di Annie e Jean (Geraldine Chaplin e Guy Bedos).
La convivenza ha i suoi problemi, che scaturiscono non tanto dalle differenti abitudini dei cinque amici, ma dal rendersi conto che il tempo passa e bisogna fare i conti con la perdita di memoria di Albert, la malattia di Jeanne, e alcuni fantasmi del passato.
Insieme al gruppo vive anche Dirk, interpretato da Daniel Bruhl, (che ha lavorato con Wolfgang Becke nel nostalgico Goodbye Lenin e con Quentin Tarantino in Bastardi Senza Gloria), un ragazzone tedesco studente di etnologia, alle prese con la tesi sulle condizioni degli anziani presso gli aborigeni australiani e qualche litigio con la sua fidanzata.
Dirk è il dog-sitter del cane di Albert, e il suo personaggio, sebbene secondario, è forse quello che matura e si evolve, fino a prendere coscienza di sé e di quello che realmente vuole dalla vita.
Una società reale ben diversa
Nonostante l’intento del regista, parlare di temi seri con gli strumenti dell’umorismo e dell’emozione” e la bravura dei singoli attori, oltre al loro curriculum eccellente (Jane Fonda torna a girare un film in francese dopo circa quarant’anni da Crepa padrone, va tutto bene di Jean Luc Godard), il film appare inverosimile, specialmente se paragonato all’attuale situazione economica e sociale europea.
I cinque protagonisti sono chiaramente appartenenti ad una classe sociale agiata (Jeanne era una docente di filosofia all’università e Annie una psicologa), che in parecchie scene si perdono in vino, champagne e sontuosi aperitivi; vestono abiti eleganti e abitano case arredate con gusto.
I risvolti sociali dell’aumento della popolazione anziana di oggi vanno ben oltre i problemi di salute: nel film i protagonisti possono curarsi, anche senza ricorrere alla sanità pubblica, mentre in Francia, così come negli altri Paesi d’Europa, il vero problema è la perdita dei pilastri di una società sana, la sicurezza, la sanità e l’istruzione.
L’Europa in crisi
E Robelin ci prova a ricordare, tra una coppa di champagne e i lavori per la costruzione della piscina nella casa di Annie e Jean, che l’Europa è attraversata da una profonda crisi sociale ed economica.
All’inizio del film, attraverso il notiziario radio che annuncia che il governo francese immetterà liquidità nelle banche per sostenerle, e nella scena dello sgombero di uno spazio occupato dagli immigrati, durante il quale Claude si oppone alla polizia in assedio anti-sommossa (e nasce spontanea la domanda, se sono più figli del popolo i poliziotti, costretti a caricare, oppure il borghese Claude, che si mette dalla parte degli immigrati per sentirsi ancora vivo, ma non perché ci creda fermamente).
Restano comunque due tentativi isolati, in un film, che seppur godibile e piacevole, non sembra andare a fondo del problema.