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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia.69: “La nave dolce” di Daniele Vicari (Fuori concorso)

8 agosto 1991: ventimila euforici albanesi tutti su una nave. Avevano attraversato il mediterraneo da Durazzo spinti dall’illusione di un Eden italiano. Daniele Vicari torna al linguaggio documentaristico dopo il successo di “Diaz, don’t clean up this blood”. La sua volontà di riportare a galla i fatti e divulgare una versione alternativa di ciò che la tv ci aveva propinato si fa di nuovo concreta e benvenuta.

Pubblicato

il

 

Anno: 2012

Distribuzione: Micorcinema /Rai Trade

Durata: 90′

Genere: Documentario

Nazionalità: Italia/Albania

Regia: Daniele Vicari

 

8 agosto 1991: ventimila euforici albanesi tutti su una nave. Avevano attraversato il mediterraneo da Durazzo spinti dall’illusione di un Eden italiano. Brindisi li dirotta a Bari e Bari li rispedisce al mittente dopo una settimana di trattamenti discutibili.

Cercavano la libertà e hanno trovato un’altra forma di regime mascherata dal Paese democratico che gestiva l’emergenza. Fu, a conti fatti, il primo respingimento di massa avvenuto nella storia italiana.

Daniele Vicari torna al linguaggio documentaristico dopo il successo di Diaz, don’t clean up this blood, con La nave dolce. La sua volontà di riportare a galla i fatti e divulgare una versione alternativa di ciò che la tv ci aveva propinato si fa di nuovo concreta e benvenuta.

Registicamente, il lavoro vanta una ricerca di repertorio notevole e coerente: le immagini riportano alla memoria le medesime sensazioni vissute nello sconvolgente incontro di quel trabiccolo claudicante, che arrivava ricoperto di esserini, avvicinandosi minaccioso alla banchina di Bari. A questo Vicari alterna interviste intelligenti e fresche, su sfondo bianco, come fosse il suo personale tentativo di riscrivere le pagine dei libri di storia con la voce di chi, quelle vicende, le ha vissute in prima persona.

Tra questi testimoni, l’ispettore di polizia che ha gestito l’”operazione albanesi”; il custode dello stadio in cui questi poveracci vennero rinchiusi per una fallace e fatale scelta del governo; la giornalista che svela senza peli sulla lingua che il Sindaco ci provò a trattarli come esseri umani, ma venne quasi deriso per le sue posizioni dal Primo Ministro di allora, Cossiga; e diversi tra loro, che hanno provato sulla propria pelle la traversata. Chi è rimasto, chi è stato rimpatriato.

Nata come un’avventura, il viaggio di questa nave, la Vlora, inizia a Durazzo durante lo scarico dello zucchero cubano che trasportava: l’apertura del porto conduce ventimila anime ad assaltare la nave e il capitano, Halim Milaqi – che per la prima volta parla di quei giorni -, con un cacciavite piantato nella gamba e costantemente minacciato da uomini armati, conduce il carico nella terra promessa. Durante tutta la traversata queste persone si arrangiano e si nutrono con quello che possono, succhiando l’ultimo zucchero rimasto a bordo e usando l’acqua di raffreddamento dei motori per non perire. L’emozione che assurdamente traspare, e che i testimoni ripetono a non finire, è quel paradossale entusiasmo che spingeva questi clandestini ad acclamare ininterrottamente la nostra nazione, le dita a vittoria e generosi saluti alle telecamere.

Il racconto trasporta così puntualmente lo spettatore che quasi ci dispiace, alla fine, non sapere che fine fanno i personaggi. Il resoconto, infatti, è talmente preciso sull’accaduto che non si abbandona a digressioni narrative ed emotive sulle storie degli individui; ma allo stesso tempo, è tale il sentimento di condivisione e immedesimazione, che, dopo novanta minuti, la sensazione è quella di essere sospesi ancora là, a metà tra lo stadio e la banchina, o sulla fune di attracco, nel tentativo di non perdere la corsa per il ritorno alla realtà.

Rita Andreetti

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