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65° Festival di Cannes: “Post Tenebras Lux” di Carlos Reygadas

Torna per la quarta volta a Cannes dopo la Caméra d’Or “Japòn” (2002), “Battaglia nel cielo” (2005) e “Silent light” (2007) il cinema di ossessioni, simbolismi e movimenti ipnotici firmato Carlos Reygadas

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Anno: 2012

Durata: 120’

Genere: Drammatico

Nazionalità: Messico/Francia

Regia: Carlos Reygadas

 

Torna per la quarta volta a Cannes dopo la Caméra d’Or Japòn (2002), Battaglia nel cielo (2005) e Silent light (2007) il cinema di ossessioni, simbolismi e movimenti ipnotici firmato Carlos Reygadas.

Post Tenebras Lux si apre con la contraddizione del titolo: una bambina corre senza direzione in una campagna messicana tra mucche al pascolo, invocando il loro nome, quando la luce del tramonto, che rischiarava i colori della natura, si offusca per lasciare il posto alle tenebre. Nel bel mezzo di una vallata si erge la sontuosa villa di Juan (Adolfo Jiménez Castro) e Natalia (Nathalia Acevedo), approdati lì da chissà dove insieme ai figli Eleazar e Rut (la bambina dell’incipit). Seven (Willebaldo Torres) è il factotum della tenuta, un uomo del posto dal passato violento, con serie difficoltà a controllare i suoi impulsi. Il rapporto tra Juan e Natalia non è idilliaco, lui ha raptus violenti che sfoga picchiando i suoi cani – quelli più amati – e lei si aggira per casa in un costante stato di apatia. Entrambi scaricano frustrazioni e anomalie comportamentali nell’incapacità di gestire un rapporto sessuale felice, intoppo non da poco a cui tentano di rimediare partecipando a situazioni orgiastiche. Colto nel tentativo di derubare il ricco padrone, Seven spara a Juan e la storia prende una deriva criptica e ineffabile.

La sequenza iniziale è  un chiaro esempio della capacità del regista di conciliare tecnica e sguardo: la camera segue Rut nei suoi movimenti ipnotici e, mentre la sua figura si sfuma e si sdoppia quando tocca i bordi dell’immagine, smarriamo l’idea di confine tra sogno e realtà.

La successione narrativa è intervallata da flashback e flashforward di difficile lettura gestiti con l’anarchia del ricordo. Padrone assoluto della macchina da presa, a cui applica una lente che sfoca e raddoppia i contorni del quadro in 4:3, Reygadas lascia confluire in Post Tenebras Lux angosce, ricordi, immaginazione che si articolano secondo la grammatica del flusso di coscienza. Paragonando il suo atto creativo a quello sotteso al cinema espressionista, il regista messicano ci invita ad adoperare una chiave di lettura organizzata, non sulla linearità logica e temporale, bensì su una sensibilità istintiva e onirica. In quest’ottica non deve stupire – ma di fatto stordisce – la comparsa di un diavolo rosso in CGI che con la borsa degli attrezzi si introduce in casa, notato dal bambino: “Un incubo ricorrente quando ero piccolo”, ci spiega il regista.

Al di là di alcuni momenti che restano estranei alla storia – come le scene conviviali o le partite di rugby difficilmente contestualizzabili – il film mette in campo la contrapposizione degli opposti che genera inadeguatezza, mandando in cortocircuito ogni prospettiva di stabilità. L’origine urbana della famiglia cozza con il contesto naturale di insediamento, la loro ricchezza incontra la povertà del luogo, l’amore (impalpabile) famigliare cerca nutrimento nella meccanica esperienza scambista. Sebbene sia chiaro che l’eros, l’essere umano e la natura siano i vertici di un’interazione sofferta, si respira l’impossibilità di cogliere l’intenzione comunicativa di un Reygadas abbarbicato al suo universo di incubi e ricorrenze, dal cui atteggiamento scaturisce un fastidioso senso di frustrazione.

Francesca Vantaggiato

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