“Nel confrontarsi con il remake di un maestro, Takashi Miike sceglie un registro “serio” e rigoroso, caratterizzato da un’attenzione maniacale al dettaglio.”
Per la cultura occidentale è il “cappa e spada”. I cinesi lo definiscono “wuxiapian”. I loro cugini giapponesi invece usano i termini “jidaigeki” o “chambara”, ma il risultato non cambia. Parliamo sempre di un film incentrato sulle coreografiche peripezie di spadaccini eccellenti. Samurai nel caso del film diretto da Takashi Miike,13 Assassini, remake dell’omonima pellicola di Eiichi Kudo del 1963.
Probabilmente ispirato ad una storia vera – «Non ci sono fonti attendibili che documentano la veridicità storica della battaglia dei 13 assassini» ha dichiarato Miike – il film narra le gesta di un gruppo di samurai, capitanati da Shinzaemon e assoldati da Doi, alto ufficiale al servizio dello shogun, per eliminare il perfido fratello di quest’ultimo – e per questo al di sopra della legge – colpevole di compiere atrocità disumane in tutto il Giappone. I 13 assassini del titolo sanno che portare a termine il compito assegnato loro non sarà affatto facile e che questa potrebbe essere la loro ultima missione, ma sono disposti a sacrificare la loro stessa vita per sconfiggere il male incarnato dal perfido signore feudale.
Takeshi Miike è un autore eclettico. Nella sua prolifica produzione cinematografica (più di ottanta film in meno di 20 anni), infatti, non troviamo solo film caratterizzati da una fantasiosa e audace violenza condita con abbondanti dosi di humour nero, ma anche pellicole per bambini, drammi, film in costume e persino un musical horror. Completamente a suo agio nell’esplorare generi diversi tra loro – dall’azione alla commedia, dal drammatico alla fantascienza, passando attraverso il western e l’avventura – sovente mescolati senza alcuna soluzione di continuità, seppure con risultati alterni, Miike realizza la sua personale versione di jidaigeki che riassume in sé gran parte di tutto ciò che abbiamo detto finora, tenendosi però lontano dagli eccessi che spesso caratterizzano i suoi lavori.
Non che in 13 Assassini manchino sangue a profusione e punte di violenza al limite della sopportazione umana (vedere la scena del “dialogo” tra Shinzaemon e una delle vittime orrendamente mutilate dal malvagio Naritsugo). Ma nel confrontarsi con il remake di un maestro, il regista sceglie un registro “serio” e rigoroso, caratterizzato da un’attenzione maniacale al dettaglio, e consegna al pubblico un film pressoché perfetto senza sbavature né forzature che, pur prendendosi il proprio tempo, procede incessante verso l’inevitabile confronto finale tra l’eroe e il villain – che incarnano in modo netto e senza alcune ambiguità di sorta rispettivamente il Bene e il Male – attraverso la lunga sequenza dell’imboscata nel villaggio che sfiora il capolavoro e rimarrà sicuramente negli annali della storia del cinema.
Federico Larosa
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